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Scuole, sicurezza, responsabilità penale: quattro sentenze di Cassazione Penale

27/1/2017

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Foto
Liceo Darwin. Crollo dell'edificio che ospitava il Convitto nazionale in l'Aquila. Accertamento dei VdF in una scuola: mancata verifica degli estintori e impianto idrico non funzionante. Caduta dell'anta sinistra di un cancello della scuola.

Quattro sentenze di Cassazione Penale sulle responsabilità dei soggetti del sistema di Sicurezza sul Lavoro: Dirigente scolastico, RSPP, Insegnanti, Dirigenti di Comune e Provincia

_____________________________________

  • Cassazione Penale, Sez. 4, 22 marzo 2016, n. 12223 - Liceo Darwin. Ricorsi rigettati
Presidente: ZECCA GAETANINO Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA Data Udienza: 03/02/2015


SENTENZA

Sui ricorsi proposti da:
1. DM.M. :
2. M.S. ;
3. M.E. ;
4. T.F. ;
5. S.D. ;
6. P.P. 
Avverso la sentenza n. 2604/2012 della CORTE D'APPELLO DI TORINO in data 28 ottobre 2013
Visti gli atti, la sentenza ed i ricorsi, udita alla pubblica udienza del 3 febbraio 2015 la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI; udito il Procuratore Generale in persona del dott. Giulio Romano che ha chiesto il rigetto del ricorso di DM.M.; l'annullamento con rinvio limitatamente al diniego delle attenuanti generiche e rigetto nel resto di tutti gli altri ricorsi.
Sono presenti gli avvocati   del foro di Torino per la parte civile Omissis che si riporta alle conclusioni ed alla nota spese che deposita in udienza; l'avvocato  del foro di Torino per la parte civile Comune di Rivoli che si riporta alle conclusioni e nota spese che deposita; l'avvocato   per la parte civile Omissis che si riporta alle conclusioni e nota spese che deposita in udienza; l'avvocato   del foro di Asti per la parte civile Omissis che si riporta alle conclusioni e nota spese che deposita; l'avvocato  di Rivoli per la parte civile Omissis che si riporta alle conclusioni e nota spese depositate in udienza; l'avvocato   del foro di Torino per la parte civile CITTADINANZATTIVA- ONLUS che si riporta alle conclusioni e nota spese che deposita in udienza.
Sono altresì presenti per il Responsabile Civile Provincia di Torino, l'avvocato   che chiede l'accoglimento dei ricorsi; per Omissis l'avvocato   che insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso; per M.E. l'avvocato   del foro di Roma che chiede l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata; per M.S. l'avvocato   del foro di Torino che conclude per l'accoglimento dei motivi di ricorso; per P.P. l'avvocato   del foro di Torino, anche per S.D., che chiede l'annullamento con rinvio della impugnata sentenza; per T.F. l'avvocato   del foro di Torino che chiede l'accoglimento dei motivi di ricorso; per S.D. l'avvocato   che chiede l'accoglimento del ricorso; per DM.M. l'avvocato  che chiede l'accoglimento del ricorso.

Fatto

 


1. In data 22 novembre 2008 alle ore 11,05 nell'aula della 4 G del liceo "Darwin" di Rivoli si verificava il cedimento pressoché totale della controsoffittatura in laterizio realizzata tra il 1962 ed il 1964 e consistita da tavelloni alti sei centimetri e lunghi un metro e da corree in cemento armato aventi interasse di circa un metro, costituite da un tondo metallico inglobato in un getto di calcestruzzo di circa un centimetro di spessore ed inferiormente da intonaco di finitura, controsoffittatura appesa al sovrastante solaio mediante elementi di sospensione (pendini). Il cedimento si era verificato durante l'intervallo delle lezioni in concomitanza con lo sbattimento della porta di ingresso dell'aula dovuto ad una forte corrente d'aria.
A seguito del crollo lo studente V.S. decedeva ed altri studenti riportavano lesioni.
In relazione a detto evento venivano tratti a giudizio DM.M., M.S., M.E., M.M., T.F., S.D., P.P. nelle loro rispettive qualità, analiticamente descritte nel capo di imputazione: in particolare per quanto rileva in questa sede, DM.M., M.S. e M.E. quali dirigenti della Provincia di Torino succedutisi negli anni , T.F., S.D. e P.P. quali responsabili prò tempore del servizio di prevenzione e protezione della scuola.
2. Con sentenza in data 15 luglio 2011 il Tribunale di Torino assolveva tutti gli imputati ad eccezione di DM.M., che condannava alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite. Riassunti i principali dati del fatto e verificata la sussistenza nel caso concreto di elementi oggettivi tali da astrattamente integrare le tre fattispecie penali colpose in contestazione (ovvero disastro, omicidio e lesioni personali) il Tribunale esaminava i principi in tema di reato colposo omissivo: posizione di garanzia, nesso di causalità, regola cautelare, affidamento, prevedibilità e prevenibilità ed individuava sulla base delle risultanze peritali la causa esclusiva del crollo nella presenza di microscopiche fissurazioni denominate cricche nei pendini. Riteneva la penale responsabilità del DM.M. sul presupposto che la demolizione dei tramezzi e la realizzazione del locale poi divenuto aula della 4G era stata opera dell'imputato quale progettista e direttore dei lavori dell'appalto che prevedeva, ai fini del cambio di destinazione d'uso dell'edificio da seminario a scuola e del passaggio di proprietà del manufatto alla Provincia- la demolizione di alcune stanzette e la creazione di aule ad uso scolastico al piano interessato al crollo, in assenza di alcun nuovo rinforzo. Veniva tra l'altro addebitata al DM.M. la mancata ispezione del vano sovrastante il controsoffitto accessibile da una botola posta su quest'ultimo. Perveniva invece il Tribunale all'assoluzione degli altri imputati, in quanto- secondo il giudice di primo grado- non si era in presenza di segni di dissesto agevolmente riconoscibili ed in quanto gli stessi avevano fatto legittimo affidamento sull'operato del DM.M..
3. Avverso la decisione di primo grado proponevano gravame l'imputato DM.M., il PM e la parte civile C.C..
4. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Torino confermava l'affermazione di penale responsabilità del DM.M. e dichiarava - con le conseguenti statuizioni civili- responsabili dei reati loro ascritti e ritenuto il concorso formale fra gli stessi, anche di M.S., M.E. , T.F., S.D. e P.P.. Dopo aver evidenziato alcune criticità e contraddittorietà della sentenza impugnata quanto alla individuazione delle effettive cause del crollo, dapprima individuate nella sola presenza delle cricche nei pendini e poi anche nella non omogenea disposizione dei pendini stessi e ritenuto che il meccanismo causale dell'evento crollo andasse ricostruito in termini di concausalità, la Corte territoriale si soffermava in particolare sulla circostanza che il controsoffitto crollato non era in realtà un semplice controsoffitto in quanto la sua funzione era anche quella di costituire il solaio di un vano tecnico in cui erano presenti frammenti di tubazione in ghisa, blocchi di calcestruzzo e mattoni - vano da ritenersi a tutti gli effetti quale luogo di lavoro- struttura che come tale doveva sostenere, quindi, oltre al peso proprio di per sé molto rilevante anche il sovraccarico dei servizi presenti nonché l'eventuale peso del personale della manutenzione per la sostituzione dei tubi di scarico del piano superiore. Si trattava quindi di un solaio sospeso e non di un semplice controsoffitto.
Affrontava poi espressamente il tema della centralità dell'idea dei rischi e dell'obbligo preliminare della loro valutazione: gli imputati nei rispettivi ruoli avrebbero dovuto e potuto porsi nelle condizioni di assolvere appieno all'obbligo primordiale di adeguata valutazione dei rischi, individuando i relativi fattori e mettendo in sicurezza l'immobile e ciò indipendentemente dall'essere stati o meno pre-allertati da percepibili campanelli d'allarme.
Per far fronte ai propri obblighi l'ente proprietario - secondo la Corte territoriale- non poteva soltanto attendere la segnalazione della scuola, ma doveva autonomamente assumere l'iniziativa attraverso azioni di controllo, di manutenzione preventiva e di riparazione, atti a garantire la sicurezza dei locali e degli edifici. Se gli imputati avessero correttamente adempiuto all'obbligo prioritario di valutare tutti i rischi, onde poter garantire la sicurezza dei locali, avrebbero necessariamente dovuto effettuare, nel senso di prescrivere specificamente che si effettuasse rilievi puntuali dei locali accessibili; per far ciò nello specifico avrebbero dovuto prescrivere in particolare anche l'apertura della botola di ispezione, così prendendo necessariamente contezza dei rischi sovrastanti.
Con riferimento poi in particolare alle posizioni degli imputati RSPP, richiamate le caratteristiche di detta figura e le caratteristiche professionali degli imputati il Collegio torinese, riteneva che gli stessi, titolari di una specifica posizione di garanzia fossero venuti meno agli obblighi di doverosa attivazione che in primis deve consistere nell'individuare ed informare riguardo ai rischi ed ai fattori di rischio e nell'elaborare adeguate procedure di sicurezza.
5. Avverso tale decisione propongono ricorso a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia :
a.  M.S. (dirigente della Provincia di Torino presso il Servizio di Edilizia Scolastica in diversi periodi fra il 1998 ed il 2008) deducendo con un primo motivo violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in relazione alle antitetiche valutazioni del materiale probatorio effettuate dai giudici di merito (assoluzione dell'imputato in primo grado e condanna in appello). La sentenza impugnata- nella prospettiva del ricorrente- sarebbe venuta meno all'obbligo della cd. motivazione rafforzata: in particolare, a seguito delle note decisioni del 2013 della Corte di Strasburgo, la Corte territoriale, aveva l'obbligo, pena violazione dell'art. 6 CEDU di procedere alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ed all'esame diretto dei testimoni della cui deposizione aveva effettuato diversa valutazione.
Sostiene poi l'erroneità della sentenza impugnata per essere la stessa pervenuta alla condanna del M.S. per non aver adeguatamente valutato il rischio di crollo del controsoffitto, avendo omesso di esaminare il vano tecnico, sottolineando come la Corte territoriale pur avendo evidenziato che gli imputati ignoravano l'esistenza del solaio sospeso li aveva ritenuti colpevoli perché l'adempimento dell'obbligo prevenzionale omesso sarebbe stato invece agevole attraverso lo schiodamento della botola. Ricorda in proposito il ricorrente di aver emesso un'apposita direttiva - ritenuta generica dalla impugnata sentenza- ai soggetti incaricati di ispezionare i locali scolastici al fine di effettuare sopralluoghi finalizzati alla ricerca di eventuali necessità di intervento e sottolinea a riguardo la contraddittorietà della motivazione che da un lato aveva ritenuto agevole l'adempimento dell'obbligo prevenzionale, dall'altro aveva ritenuto necessaria l'emissione di direttive più puntuali. A riguardo in particolare contesta l'affermazione della gravata sentenza secondo cui doveva essere presi a paradigma i protocolli operativi per l'espletamento di attività manutentive predisposti dalla Provincia di Trento. Sottolinea come il M.S. sovrintendesse a ben 78 immobili e che non gli si poteva imporre la minuziosa conoscenza di ogni vano di ogni singolo istituto scolastico, soprattutto in assenza di specifiche segnalazioni da parte della direttrice scolastica.
Pone poi evidenza le contraddizioni della motivazione della sentenza impugnata con riferimento all'incidenza causale del tubo di ghisa sul decesso dello studente V.S..
Con un secondo motivo deduce violazione di legge e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine, in primo luogo, alla tematica della valutazione dei rischi ed in particolare quanto alla individuazione quale luogo di lavoro del vano tecnico e di datore di lavoro del M.S., sottolineandosi come detto obbligo gravasse in realtà sul direttore scolastico e come egli difettasse comunque dei relativi poteri; in secondo luogo con riferimento al principio dell'affidamento. Richiama sul punto la sentenza di primo grado secondo cui non vi erano ragioni per cui il M.S. dovesse sospettare l'esistenza dell'errore commesso dal progettista e direttore dei lavori (DM.M.), persona dotata di opportuna qualifica, competenza ed esperienza. Deduce poi vizio di motivazione in ordine ad alcuni specifici punti della sentenza impugnata, relativi alle verifiche effettuate sull'immobile.
Con un terzo motivo deduce la violazione degli arti. 76 e 573, 576 e 648 cod. proc. pen. per aver la Corte territoriale condannato l'imputato al risarcimento dei danni anche in favore delle parti civili non appellanti avverso la sentenza di assoluzione di primo grado poiché le relative statuizioni civili erano da intendersi come passate in giudicato e richiama l'orientamento di questa Corte secondo cui l'omesso esercizio del diritto di impugnazione determina acquiescenza alla decisione
Con il quarto ed il quinto motivo formula censure in ordine al trattamento sanzionatorio ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Ha poi presentato motivi aggiunti in cui dopo una premessa sul principio di colpevolezza si sofferma in particolare, approfondendoli, su alcuni aspetti già in parte evidenziati nel ricorso quanto al nesso causale, alla individuazione della regola cautelare, alla prevedibilità dell'evento
b.  T.F. (responsabile del servizio di prevenzione e protezione del liceo Darwin negli anni 2000-2004) deduce con un primo motivo violazione ed erronea applicazione di legge sostenendo che la mancata individuazione e valutazione del rischio del crollo della controsoffittatura addebitatagli dall'impugnata sentenza, non costituiva invece violazione degli obblighi spettanti gli in relazione al disposto di cui all'art. 18 del D.lgs.vo n. 81/2008 secondo cui gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche, restano a carico dell'amministrazione tenuta per effetto di norme o convenzioni alla loro fornitura o manutenzione, per cui tutti gli obblighi nel caso di specie spettavano esclusivamente alla Provincia di Torino. Sostiene quindi l'erroneità della impugnata sentenza nella parte in cui ha attribuito anche alle scuole un obbligo di preliminare valutazione dei rischi.
Con un secondo motivo deduce violazione di legge e illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sua posizione di garanzia quale RSPP. Si sostiene che detta figura non è diretta destinataria dell'osservanza dei precetti prevenzionali, svolgendo un ruolo non operativo, ma di mera consulenza con il compito di individuare le situazioni di rischio da sottoporre all'attenzione del datore di lavoro cui compete poi di ottemperare alle indicazioni offertegli rimuovendo le situazioni pericolose. L'affermazione di penale responsabilità confermata dalla Corte territoriale sarebbe quindi erronea e frutto di una impropria applicazione dei principi normativi e giurisprudenziali. In particolare la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto luogo di lavoro il vano tecnico; sostiene comunque che anche ove detto vano fosse stato ispezionato non si sarebbe evidenziata alcuna significativa anomalia.
Con un terzo motivo lamenta violazione di legge ed illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto alla ritenuta prevedibilità dell'evento sostenendosi che nel caso di specie solo una ricostruzione ex post aveva permesso di accertare che il rischio si annidava all'interno dei pendini ed alle cricche ivi presenti. Inoltre la impugnata sentenza avrebbe trascurato sotto il profilo del principio dell'affidamento il ruolo del DM.M. che aveva seguito e diretto i lavori che nel 1984 più da vicino avevano riguardato il controsoffitto e della ditta incaricata dell'adeguamento all'Anagrafe dell'edilizia scolastica che aveva rilevato la necessità di interventi minimi sulla controsoffittatura.
Con un quarto motivo deduce violazione di legge e illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al ritenuto nesso di causalità. Sostiene che erroneamente la Corte di merito avrebbe affermato che il crollo si sarebbe verificato per una serie di concause anziché per una causa unica ovvero le cricche nei pendini come sottolineato dal giudice di primo grado.
Con un quinto motivo lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche
c. M.E.  (dirigente della Provincia di Torino presso il Servizio Gestione Manutentiva Edifici Scolastici dal 2002 al 2008) deduce violazione di legge e carenza di motivazione in relazione al disposto dell'alt. 18 del D.lgs.vo n. 81 del 2008 sostenendo che il contenuto precettivo di tale disposizione non può essere fatto coincidere con il contenuto dell'obbligo di analisi e valutazione dei rischi di cui agli artt. 28 e 29 dello stesso decreto che è proprio del datore di lavoro. Sarebbe dunque erronea l'impostazione seguita dalla Corte d'appello che avrebbe equiparato il dovere di manutenzione con l'obbligo di valutazione dei rischi determinando un vuoto motivazionale con riferimento alla disamina di quella che avrebbe dovuto essere nella prospettazione dell'accusa una corretta attività di manutenzione. Sottolinea la circostanza che un controsoffitto resta un elemento non strutturale che non compare nella documentazione tecnica e nel cd. certificato di idoneità statica.
Con un secondo motivo deduce erronea applicazione di legge con riferimento alla individuazione della regola cautelare e mancanza di motivazione con riferimento ad atti specificamente indicati nei motivi di gravame. Si sostiene che nessuna regola tecnica che imponeva la realizzazione di un maggior numero di pendini a sostegno del controsoffitto e che anzi nella manualistica versata in atti erano presenti indicazioni differenti circa la distanza minima tra un pendino e l'altro.
Con un terzo motivo deduce l'erronea applicazione della legge penale con riferimento all'accertamento del nesso causale: si sostiene ancora che il numero dei pendini era ampiamente cautelativo rispetto al peso del controsoffitto e comunque l'erroneità del ragionamento della sentenza impugnata quanto all'affermazione che un numero maggiore di pendini avrebbe comunque evitato l'evento. Sotto un ulteriore profilo ribadisce che non vi è prova certa che la causa della morte dello studente V.S. fosse il tubo di ghisa crollato insieme al controsoffitto
Con un quarto motivo deduce la mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta prevedibilità dell'evento: le cricche che minavano la portanza dei pendini rappresentavano un vizio occulto non percepibile e che tale era stato considerato anche dai consulenti del PM secondo cui la situazione dell'aula prima del crollo appariva del tutto normale. D'altro canto il comportamento dei funzionari della Provincia di Trento assunto dalla sentenza impugnata ad esempio di comportamento virtuoso era inconferente riguardano controsoffittature di nuova realizzazione e comunque comportamenti attuati dopo il verificarsi di un crollo e non nell'ambito di una manutenzione programmata.
Con un quinto motivo lamenta la carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla accertata esistenza di una procedura che prevedeva un accesso negli isitituti in caso di richiesta da parte del Direttore scolastico nonché dei sopralluoghi periodici che effettuavano i direttori dei lavori periodicamente o personalmente o attraverso il personale incaricato al quale erano stati attribuiti per lotti e specificamente assegnati tutti gli istituti scolastici di competenza della Provincia. La Corte di merito non avrebbe quindi esplorato i rapporti tra il Dirigente della Provincia e gli addetti alle ispezioni
Con un sesto ed ultimo motivo lamenta la mancata concessone delle attenuanti generiche
d. S.D. (Responsabile del Servizio di Protezione e Prevenzione dal 13 ottobre 2005 al 3 settembre 2006 e di addetto allo stesso Servizio dal 16 febbraio 2007) denuncia la violazione dell'alt. 606 lett. b) cod. proc. pen. nella parte in cui applica erroneamente l'art. 299 del D.lgs.vo n. 81 del 2008 al controsoffitto dell'immobile per cui è causa, inopinatamente considerando quale luogo di lavoro il soppalco che ha causato il crollo. Trattavasi infatti secondo la prospettazione del ricorrente di un vano in concreto non accessibile ad altezza ridotta, ingombro di residui di lavorazioni di quaranta anni prima.
Con un secondo motivo deduce violazione di legge nella parte in cui la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare la rilevanza causale nei reati commissivi mediante omissione e l'insussistenza del dovere giuridico di impedire l'evento. La mancata definizione di luogo di lavoro farebbe - in tesi- venir meno l'obbligo di garanzia in capo ai responsabili della sicurezza
Con un terzo motivo deduce la contraddittorietà della motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato e l'erroneo riferimento ai doveri di garanzia e di controllo dei responsabili della sicurezza e l'erronea motivazione in ordine ai parametri assunti dalla Corte per la condanna dei responsabili della sicurezza ed in particolare del ricorrente. L'elaborazione dei rischi deve infatti ad avviso del ricorrente riguardare un luogo di lavoro ed essa è rilevante in tema di individuazione del nesso causale in capo ai RSPP nella misura in cui essi violino tale dovere. La sentenza impugnata avrebbe poi omesso di considerare la coscienza dell'illiceità del comportamento addebitato, la prevedibilità dell'evento, la prevedibilità dello stesso, l'esigibilità di un comportamento diverso
e. DM.M. (funzionario della I Ripartizione Edilizia della Provincia di Torino nonché di Progettista e Direttore dei Lavori per il cambio di destinazione d'uso dell'edificio negli anni 1979-1981 e 1983-1984, e successivamente dal 21 marzo 1996 al 30 giugno 1998, Dirigente Responsabile presso il Servizio Edilizia Scolastica della Provincia di Torino) deduce l'erronea applicazione della legge penale processuale con riferimento agli artt. 192 e 546 cod. proc. pen. ed in ogni caso la manifesta illogicità della motivazione. In particolare la Corte non avrebbe valutato la circostanza che l'imputato cessato dal suo incarico dirigenziale nel 1998 non rivestiva ad almeno dieci anni alcuna posizione di garanzia con riferimento all'avvenuto crollo; non avrebbe valutato la progressione nel tempo delle cricche e l'incidenza delle opere edili realizzate nel 2000 dalla ditta TERMONOVA sulla tenuta e stabilità del controsoffitto né quanto emerso a seguito delle opere della ditta FAGi realizzate nel 2001 per l'adeguamento alla normativa antincendi allorché erano stati evidenziati problemi di tenuta dei controsoffitti ed ancora della circostanza che in un progetto dallo stesso ricorrente realizzato nel 1996 era previsto il controllo dei controsoffitti, nonché l'appalto GLOBAL SERVICE che prevedeva a carico del soggetto manutentore l'osservazione sistematica predittiva dell'edificio.
Con un secondo motivo deduce violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza di una regola cautelare e del nesso causale tra le condotte addebitate all'imputato e l'evento.
Con un terzo motivo si assume la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla rilevabilità del vizio occulto causa del crollo Con un quarto motivo si deduce ancora violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza del nesso causale del decesso dello V.S..
Detti ultimi tre motivi sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli proposti dagli altri ricorrenti e su cui si è già riferito. 
Con un quinto ed ultimo motivo si deduce violazione di legge e contraddittorietà di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle attenuanti generiche
f. P.P. (responsabile del servizio di prevenzione e protezione del liceo Darwin negli anni 2006-2008) deduce con un primo motivo violazione di legge ed illogicità della motivazione per quanto attiene alla individuazione del soggetto su cui ricadeva l'obbligo della valutazione dei rischi, richiamando in proposito il disposto di cui all'art.18 comma 3 del decreto legislativo n. 81 del 2008 da cui discenderebbe una radicale diversità di regime dei canoni di responsabilità fra edifici pubblici e privati. Sotto altro profilo sostiene che comunque l'obbligo di valutazione dei rischi incomberebbe in primo luogo sul Preside e non certo sul Responsabile del servizio. Con un secondo motivo deduce erronea applicazione di legge ed illogicità della motivazione con riferimento alla questione della esigibilità del comportamento omesso, richiamando sul punto le diverse conclusioni del giudice di primo grado che aveva escluso che gli imputati che si erano succeduti nel ruolo di R-S.P.P. disponessero di quelle altissime competenze tecniche ritenute indispensabili per "leggere" e "comprendere" i dati fattuali esistenti. Con un terzo motivo lamenta violazione di legge ed illogicità della motivazione per non essere stata raggiunta la prova in ordine alla individuazione della causa della morte. Con un quarto ed ultimo motivo deduce violazione di legge e contraddittorietà di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle attenuanti generiche

Diritto


6. I ricorsi sono infondati.
La sentenza impugnata è pervenuta all'affermazione di penale responsabilità anche degli imputati M.S., M.E., T.F., S.D. e P.P., in ciò riformando la sentenza di primo grado che, invece, come esposto in narrativa li aveva mandati assolti.
A riguardo con un motivo comune a più ricorrenti viene dedotta la violazione dell'art. 6 CEDU. Osserva in proposito la Corte: l'obbligo di rinnovazione del l'istruttoria fondato sulla nota decisione della Corte EDU, 5 luglio 2011, Dan contro Moldavia sussiste solo qualora il giudice d'appello per procedere alla "reformatio in peius" della sentenza assolutoria di primo grado intenda operare un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova orale acquisita dal primo giudice ; non vi è invece tenuto qualora approdi, in base al proprio libero convincimento, ad una valutazione di colpevolezza attraverso una rilettura degli esiti della prova dichiarativa (di cui non ponga in discussione il contenuto o l'attendibilità), valorizzando gli elementi eventualmente trascurati dal primo giudice, ovvero evidenziando gli eventuali travisamenti in cui quest'ultimo sia incorso nel valutare le dichiarazioni.
Come è noto, il processo penale vigente in Italia, quale delineato dal legislatore del 1989, prevede un giudizio di primo grado a struttura tipicamente accusatoria, nell'ambito del quale, quanto meno in linea generale, la prova viene acquisita, nel contraddittorio delle parti dinanzi al giudice imparziale e terzo; ed al principio del contraddittorio, consacrato a livello costituzionale nell'art. 111 Cost., si affiancano a livello di legge ordinaria, come cardini del nuovo processo penale, i principi dell'oralità e dell'immediatezza. Nell'ambito di questo sistema processuale è stato, tuttavia, mantenuto, a differenza di quanto avviene nei cosiddetti sistemi accusatori puri, attraverso il giudizio di appello, il doppio grado di giurisdizione che consiste nella possibilità di ottenere sulla medesima imputazione una seconda pronuncia destinata a prevalere sulla prima: nel rispetto dei limiti delle impugnazioni proposte dalle parti, è prevista, con il secondo grado di giudizio, la possibilità di rivedere in peius o in melius la prima decisione. A ciò si può pervenire, in linea generale, attraverso l'esame del medesimo materiale probatorio formatosi in primo grado, essendo la possibilità di escutere testimoni o assumere nuove prove, attraverso la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, un'eccezione subordinata alla presenza di rigorosi presupposti.
Nell'ambito di questo sistema delineato dal legislatore, merita particolare attenzione, l'ipotesi -che è quella di cui si discute nell'ambito del presente ricorso - della sentenza di assoluzione in primo grado riformata, in seguito all'impugnazione da parte del pubblico ministero, in una sentenza di condanna. A riguardo ancor prima dell'intervento del giudice sovranazionale si era quindi affermato che, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello, che riformi totalmente la decisione di primo grado, ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, sent. n. 33748 del 12/07/2005, Rv. 231679). Si è parlato al riguardo di motivazione "rafforzata" per evidenziare come essa debba essere particolarmente pregnante ed approfondita; segnatamente, si è, acutamente, precisato che la sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. 6, sent. n. 6221 del 20/04/2005, Rv. 233083). Nel contempo, però, si era costantemente riconosciuto l'effetto devolutivo dell'appello proposto dalla parte pubblica avverso la sentenza di assoluzione, precisandosi anche quali erano i diritti che l'imputato, assolto in primo grado, poteva fare vale nel giudizio di appello instaurato solo su iniziativa del pubblico ministero; in tal senso questa Corte ha avuto modo di affermare: "L'appello del pubblico ministero contro la sentenza di assoluzione emessa all'esito del dibattimento, salva l'esigenza di contenere la pronuncia nei limiti della originaria contestazione, ha effetto pienamente devolutivo, attribuendo al giudice "ad quem" gli ampi poteri decisori previsti dall'art. 597, cod. proc. pen., comma 2, lett. b). Ne consegue che, da un lato, l'imputato è rimesso nella fase iniziale del giudizio e può riproporre, anche se respinte, tutte le istanze che attengono alla ricostruzione probatoria del fatto ed alla sua consistenza giuridica; dall'altro, il giudice dell'appello è legittimato a verificare tutte le risultanze processuali e a riconsiderare anche i punti della sentenza di primo grado che non abbiano formato oggetto di specifica critica, non essendo vincolato alle alternative decisorie prospettate nei motivi di appello e non potendo comunque sottrarsi all'onere di esprimere le proprie determinazioni in ordine ai rilievi dell'imputato" (Sez. U, sent. n. 33748 del 12/07/2005, Rv. 231675).
La decisione della Corte EDU richiamata dai ricorrenti che ha ravvisato la violazione dell'art. 6 par. 1 della Convenzione per violazione dei principi del giusto processo, nell'ipotesi in cui il processo di appello, che aveva portato ad un ribaltamento della decisione assolutoria di primo grado, si era svolto in assenza di qualsiasi attività istruttoria e sulla base del solo esame testuale delle prove assunte nel giudizio di primo grado. Segnatamente i giudici di Strasburgo, pur riconoscendo la piena compatibilità con i principi affermati dalla Convenzione della possibilità della condanna pronunciata dal giudice di appello in riforma di una pronuncia assolutoria in primo grado, hanno affermato che, laddove il diverso epilogo decisorio scaturisca da una diversa valutazione di attendibilità di prove orali considerate decisive, l'art. 6 della Convenzione impone l'assunzione diretta da parte dei giudici di appello delle suddette prove orali, in ordine alle quali si ritiene di dovere modificare il giudizio di attendibilità espresso dai primi giudici. Si è poi ancora, si ribadito che è incompatibile con le garanzie convenzionali il ribaltamento della sentenza di assoluzione fondato su una mera rivalutazione della testimonianza assunta in primo grado, laddove non si sia proceduto alla nuova audizione dei testimoni, con l'ulteriore precisazione che a tale incombente il giudice dì appello deve procedere anche d'ufficio in assenza di un'esplicita richiesta di parte (Corte EDU 04/06/2013, Hani contro Romania).
7. La giurisprudenza di questa Corte, chiamata a confrontarsi con i richiamati principi, si è trovata, da subito, a doverne circoscrivere in modo netto e preciso gli ambiti di applicazione, evidenziando le fattispecie concrete alle quali si era riferita la Corte EDU e nell'ambito delle quali, soltanto, si era ritenuto indispensabile, in caso di ribaltamento della decisione assolutoria di primo grado, risentire i testimoni già escussi in quel grado di giudizio. In sostanza, si è precisato che, con riferimento al giudizio di appello, la violazione del principio stabilito dall'alt. 6, par. 1 CEDU è ancorata al duplice requisito della decisività della prova testimoniale per pervenire, ribaltando l'esito assolutorio del primo grado dì giudizio, ad un giudizio di penale responsabilità, e della necessità, ai medesimi fini, di operare una rivalutazione, in termini di attendibilità, della medesima prova testimoniale; il tutto sulla base della semplice lettura delle dichiarazioni rese dai testi in questione nel giudizio di primo grado, senza procedere ad un nuovo esame degli stessi (cfr., Sez. 5, sent. n. 38085 del 05/07/2012, Rv. 253541; Sez. 2, sent. n. 46065 del 08/11/2012, Rv. 254726; Sez. 5, sent. n. 10965 del 11/01/2013, Rv. 255223; Sez. 6, sent. n. 16566 del 26/02/2013, Rv. 254623). L'evoluzione della giurisprudenza di legittimità - partita dal principio ripetutamente affermato secondo cui nel caso di riforma in peius, da parte del giudice di appello, della sentenza di assoluzione in primo grado, laddove l'affermazione di penale responsabilità scaturisca da un diverso apprezzamento dell'attendibilità di prove orali considerate decisive, sussiste l'obbligo, in forza dell'art. 6 par. 1 CEDU, così come interpretato dalla Corte EDU, di procedere alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale sentendo nuovamente, nel contraddittorio delle parti, i suddetti testimoni - nella prosecuzione di quel percorso di adattamento ai principi delle fattispecie concrete ha finito per ulteriormente limitare il campo di applicazione della regola generale, riconoscendo la legittimità di giudizi di valutazione più ampi e sempre meno "legati" all'esigenza di procedere comunque alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale.
Si è così affermato (Sez. 5, sent. n. 8423 del 16/10/2013 , Caracciolo e altro, Rv. 258945; Sez. 4, sent. n. 4100/13 del 06/12/2012, Bifulco, Rv. 254950; Sez. 5, sent. n. 10965 del 11/01/2013, Cava e altro, Rv. 255223) che, non sono applicabili i principi posti dalla Corte EDU del 5 luglio 2011, nella sentenza Dan c. Moldavia - per la quale il giudice di secondo grado, che, discostandosi dall'epilogo assolutorio della sentenza di primo grado, intenda condannare l'imputato sulla base delle dichiarazioni di un teste già ascoltato in primo grado, ha l'obbligo di sentire nuovamente e personalmente il suddetto teste - qualora il giudice di appello non proceda ad una rivalutazione dell'attendibilità di una testimonianza, ma si limiti ad apprezzare le dichiarazioni rese alla luce di ulteriori elementi trascurati dal primo giudice. Ed ancora si è ritenuto che non violi il principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", il giudice di appello che riformi totalmente la sentenza assolutoria di primo grado valutando diversamente il medesimo compendio probatorio, purché delinei con adeguata motivazione le linee portanti del proprio alternativo percorso argomentativo, che metta in evidenza le ragioni di incompletezza o incoerenza del provvedimento riformato (Sez. 2, sent. n. 17812 del 09/04/2015, dep. 29/04/2015, Maricosu, Rv. 263763). Applicando tali principi al caso in esame non sussiste la dedotta violazione. La Corte di appello, infatti dopo avere ricostruito i fatti, riassunto le motivazioni della sentenza di primo grado ed analizzato con cura gli elementi probatori acquisiti, ha puntualmente ed esaurientemente provveduto a confutarne gli elementi portanti giustificando in modo congruo e logico le ragioni della propria decisione, finendo così col giungere ad una diversa valutazione in punto di responsabilità degli odierni ricorrenti. In particolare non ha effettuato una rivalutazione dell'attendibilità del teste C., ma ha effettuato una compiuta analisi dell'intero compendio probatorio, escludendo dal proprio giudizio quella testimonianza che si poneva in insanabile contrasto con tutte le altre prove acquisite, idonee per numero e rilevanza ad eliderne il valore. Ne vi è spazio per condividere quanto sostanzialmente sostenuto dalle difese in ordine al fatto che, trattandosi di valutazioni diverse operate in ordine al medesimo compendio probatorio dai giudici di primo e di secondo grado, ciò sarebbe sintomatico di una possibile diversa lettura degli elementi emergenti dagli atti tale da non ritenere raggiunta la prova di colpevolezza dei ricorrenti. Seguendo tale impostazione, infatti, mai si potrebbe giungere ad un ribaltamento della decisione in sede di appello qualora non si siano aggiunte nuove prove con la paradossale conseguenza che l’errore decisionale del giudice di prime cure che ha pronunciato una sentenza di assoluzione non sarebbe altrimenti emendabile. La presenza di differenti gradi di giudizio trova infatti la propria ragion d'essere proprio nella possibilità (bidirezionale) di diverse valutazioni delle prove, frutto delle libertà decisionale dei giudicanti. Ciò che conta è, in conclusione, che ogni decisione venga assunta nel rispetto delle modalità di legge, secondo i criteri guida indicati ed interpretati nella loro prospettiva evolutiva dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema e della Corte EDU, con motivazione idonea, non contraddittoria e non manifestamente illogica atteso che questi possono essere gli unici aspetti evocati in sede di legittimità in quanto - è doveroso rimarcarlo - questa Corte è giudice del provvedimento e non del fatto.
Nel caso di specie, premesso che - come giustamente sottolineato dal Procuratore Generale di questa Corte nel corso della requisitoria- vi è su molteplici aspetti - come si evidenzierà in prosieguo- una sostanziale uniformità di giudizio da parte dei giudici di merito, in particolare La Corte territoriale, attingendo ad argomenti privi dei gravi vizi paventati, ha persuasivamente dimostrato perché andava affermata la penale responsabilità degli imputati assolti in primo grado. Sono in particolare stati evidenziati in più punti le contraddizioni interne della sentenza impugnata e la sua manifesta erroneità nella applicazione della legge penale, rispetto a fondamentali principi ed indirizzi di questa Corte su cui si tornerà in prosieguo (cfr. in particolare pp. 13 e 32 della impugnata sentenza).
8. Tanto premesso si può procedere anche in relazione ad altre doglianze dei ricorrenti, e fatte salve le precisazioni e specificazioni di cui in appresso, ad un esame congiunto dei ricorsi, che presentano sotto diversi aspetti analoghi
Del tutto peculiare nel presente giudizio appare infatti solo la posizione del DM.M., sia perché nei confronti di quest'ultimo entrambe le sentenze di merito sono pervenute ad un conforme giudizio di penale responsabilità., sia in quanto questi ebbe a rivestire il ruolo di progettista e direttore dei lavori degli appalti attraverso i quali l'Amministrazione Provinciale realizzò il cambio di destinazione d'uso dei locali posti al piano immediatamente superiore rispetto al locale oggetto del crollo, mediante la demolizione delle stanzette del seminario e la creazione delle aule ad uso scolastico, (cfr. pag. 7 della gravata sentenza). Va quindi in primo luogo ricordato come costituisca orientamento consolidato di questa Corte quello secondo il quale, in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, va ritenuta l'ammissibilità della motivazione della sentenza d'appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell'effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall'appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Sez.6, n.28411 del 13/11/2012, dep. 1/07/2013, Santapaola, Rv. 256435; Sez. 3, n. 13926 del 10/12/2011, dep. 12/04/2012, Valerio, Rv. 252615; Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 4/02/1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250).
Nella specie fra l'altro la duplice affermazione di responsabilità, è stata adeguatamente motivata, nè può essere qui sindacata, avendo i giudici del merito fatta satisfattiva applicazione dei principi vigenti in materia. La Corte territoriale inoltre, pur confermando la sentenza di primo grado, ha sottoposto a complessiva rivisitazione il compendio probatorio, valorizzando in modo particolarmente significativo il duplice ruolo rivestito dall'imputato di progettista, direttore dei lavori e funzionario della Provincia di Torino.
Mentre per quest'ultimo aspetto si rinvia a quanto si dirà in prosieguo in relazione alla posizione degli altri funzionari e dirigenti della Provincia di Torino, sotto il primo profilo particolare rilevanza assume la disamina della sentenza impugnata in ordine alle cause del crollo, individuate, sulla base dei rilievi tecnici dei CC di Rivoli, dei Vigili del Fuoco e della ASL intervenuti subito dopo il crollo e della consulenza collegiale dei consulenti del PM. Dette cause sono state individuate non solo nelle "cricche" più o meno presenti nei pendini, ma nell'eccessivo ed irregolare interasse fra questi ultimi, "difetto facilmente percepibile ad un'osservazione visiva" ed addebitabile ad una anomalia progettuale.
A fronte di una disamina ampiamente argomentata, le diverse prospettazioni del ricorrente si risolvono in censure sull'apprezzamento del compendio probatorio, opinabili, sicuramente improponibili in sede di legittimità. Ed invero, attraverso ciascuna delle diverse doglianze avanzate con l'odierna impugnazione, il DM.M. ha circoscritto il proprio discorso critico sulla sentenza impugnata a una discordante lettura delle risultanze istruttorie acquisite nel corso del giudizio, in difformità rispetto alla complessiva ricostruzione operata dai giudici di merito, limitandosi a dedurre i soli elementi astrattamente idonei a supportare la propria alternativa rappresentazione del fatto (peraltro, in modo solo parziale, selettivo e non decisivo), senza farsi carico della complessiva riconfigurazione dell'intera vicenda sottoposta a giudizio, sulla base di tutti gli elementi istruttori raccolti, che, viceversa, la corte d'appello (sulla scia del discorso giustificativo dettato dal primo giudice) ha ricostruito con adeguata coerenza logica e linearità argomentativa. Non può rinnovarsi quindi in questa sede la ricostruzione delle cause del crollo.
In questa prospettiva, soccorre utilmente il principio pacifico secondo cui, in tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito può scegliere, tra le diverse tesi prospettate dal perito o dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, purché dia motivatamente conto delle ragioni della scelta, nonché del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti (Cass., Sez. 4, n. 34747/2012, Rv. 253512; Cass., Sez. 4, n. 45126/2008, Rv. 241907; Cass., Sez. 4, n. 11235/1997, Rv. 209675). Nella specie, la corte territoriale ha provveduto a chiarire in modo analitico le ragioni della privilegiata considerazione ascritta alle tesi prospettate dai consulenti dell'accusa, nonché dei tecnici intervenuti nella immediatezza del crollo, non trascurando l'apprezzamento delle contrarie deduzioni della difesa, anch'esse specificamente considerate e confutate sulla base di argomentazioni logicamente lineari e del tutto congrue in termini esplicativi. Peraltro, l'esigenza di fornire un'appropriata motivazione del rigetto delle tesi e delle deduzioni contrarie a quelle condivise, può ritenersi adeguatamente soddisfatta dal giudice anche attraverso l'esame complessivo delle ragioni giustificative della decisione, allorché le articolazioni dello sviluppo argomentativo della sentenza appaiano tali da lasciar ritenere implicitamente superate le deduzioni disattese, per la logica incompatibilità delle stesse con l'obiettiva ricostruzione dei fatti operata dal giudice sulla base delle fonti probatorie richiamate e della coerente connessione delle stesse da parte del consulente richiamato. Ciò posto, rileva il collegio come la corte territoriale abbia ricapitolato le scansioni del decorso causale che condusse al crollo di cui alla presente vicenda in termini di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, avendo proceduto a un'analitica ricostruzione esplicativa sulla base di rilievi scientificamente fondati e adeguatamente corroborati attraverso un'esauriente caratterizzazione probatoria della fattispecie concreta.
La decisione, del resto, oltre che congruamente motivata, è giuridicamente corretta, avuto riguardo alla circostanza che i giudici di merito, neH'argomentare la condanna e la sua conferma, non si sono limitati a considerare la violazione colposa addebitata all'imputato, ma ne hanno considerato adeguatamente il ruolo efficiente, nella eziologia dell'occorso.
9. Con motivo comune le difese degli imputati M.E., P.P. e T., richiamando il contenuto dell'alt. 18 comma 3 del decreto legislativo n. 81 del 2008 sostengono che avrebbero dovuto essere mandati esenti da ogni responsabilità per gli eventi di cui è causa. Significativamente la questione è posta sia da imputati ritenuti responsabili in quanto funzionari della Provincia che da altri che rivestivano, invece, il ruolo di RSPP. Tale norma che ha trasfuso l'art. 4 comma 12 del decreto legislativo n. 626 del 1994 prevede che gli obblighi relativi agli interventi strutturati e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente Decreto Legislativo, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dai presente Decreto Legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o ai soggetto che ne hanno l'obbligo giuridico.
Va osservato a riguardo che nella specie è pacifico che il liceo Darwin dipendesse per gli interventi strutturali e di manutenzione dalla Provincia, mentre "datore di lavoro" era da intendersi l'istituzione scolastica, soggetto che non possiede poteri decisionali e di spesa. Non può pertanto dubitarsi della posizione di garanzia dei funzionari della Provincia cui gravava l'obbligo degli interventi di manutenzione straordinaria dell'edificio. Ciò tuttavia non comporta che la scuola resti esente da responsabilità anche nel caso in cui abbia richiesto all'Ente locale idonei interventi strutturali e di manutenzione poi non attuati , incombendo comunque al datore di lavoro (e per lui come si vedrà al RSPP da questi nominato) l'adozione di tutte le misure rientranti nelle proprie possibilità, quali in primis la previa individuazione dei rischi esistenti e ove non sia possibile garantire un adeguato livello di sicurezza, con l'interruzione dell'attività. Ulteriore conferma si rinviene nel decreto ministeriale n. 382 del 1998 e nella circolare ministeriale n. 119 del 1999 che prevede l'obbligo per l'istituzione scolastica di adottare ogni misura idonea in caso di pregiudizio per l'incolumità dell'utenza. Si configura insomma una pregnante posizione di garanzia in tema di incolumità delle persone. Tale obbligo è stato palesemente violato a causa della mancata valutazione della inadeguatezza dell'edificio sotto il profilo della sicurezza a causa della presenza del vano tecnico sovrastante il controsoffitto.
10. Quanto, in particolare, al ruolo ed ai connessi profili di responsabilità della figura del RSPP, va osservato che Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012,Rv. 254094 ) svolge una delicata funzione di supporto informativo, valutativo e programmatico ma è priva di autonomia decisionale: esse, tuttavia coopera in un contesto che vede coinvolti diversi soggetti, con distinti ruoli e competenze.
Tale figura non è destinataria in prima persona di obblighi sanzionati penalmente; e svolge un ruolo non operativo, ma di mera consulenza. L'argomento non è tuttavia di per sé decisivo ai fini dell'esonero dalla responsabilità penale. In realtà, l'assenza di obblighi penalmente sanzionati si spiega agevolmente proprio per il fatto che il servizio è privo di un ruolo gestionale, decisionale. Tuttavia quel che importa è che il RSPP sia destinatario di obblighi giuridici; e non può esservi dubbio che, con l'assunzione dell'incarico, egli assuma l'obbligo giuridico di svolgere diligentemente le funzioni che si sono viste.
D'altra parte, il ruolo svolto dal RSPP è parte inscindibile di una procedura complessa che sfocia nelle scelte operative sulla sicurezza compiute dal datore di lavoro e la sua attività può ben rilevare ai fini della spiegazione causale dell'evento illecito.
Gli imputati, nella veste di RSPP, erano astretti, come si è sopra esposto, all'obbligo giuridico di fornire attenta collaborazione al datore di lavoro individuando i rischi lavorativi e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli. Le singole posizioni dei tre imputati sono state a riguardo debitamente evidenziate (cfr. pag. 68 dell'impugnata sentenza)
Né può censurarsi la gravata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che gli imputati in questione avessero posseduto le competenze adeguate alla natura dei rischi presenti per poter adempiere in primis al loro obbligo di preliminare adeguata valutazione dei rischi, trattandosi comunque di professionisti qualificati, dotati di ampia esperienza nel campo.
Nè può farsi genericamente valere la presenza di altri titolari della posizione di garanzia perché la compresenza di più titolari della posizione di garanzia non è evenienza che esclude, per ciascuno, il contributo causale nella condotta incriminata (cfr. Sez. 4 n. 1194 del 15/11/2013 Rv. 258232)
11. Con riferimento alle ulteriori problematiche sottese all'odierna vicenda, vanno richiamati i principi individuati da questa Corte di legittimità (cfr. ex plurimis Sez. 4, Sez. 4, n. 16761 del 11/03/2010, Rv. 247015) ed i criteri utilizzati per verificare la prevedibilità dell'evento e anche quelli riguardanti l'evitabilità del medesimo; nel senso che anche per quanto riguarda lo scrutinio sulla possibilità che un evento possa verificarsi e sul grado di diligenza usato per evitarlo è necessario individuare criteri di misura oggettivi. La giurisprudenza e la dottrina dominanti si rifanno a criteri che rifiutano i livelli di diligenza esigibili dal concreto soggetto agente (perché in tal modo verrebbe premiata l'ignoranza di chi non si pone in grado di svolgere adeguatamente un'attività di natura eminentemente tecnica) o dall'uomo più esperto (che condurrebbe a convalidare ipotesi di responsabilità oggettiva) o dall'uomo normale (verrebbero privilegiate prassi scorrette) e si rifanno invece a quello del c.d. "agente modello" (homo ejusdem professionis et condicionis), un agente ideale in grado di svolgere al meglio, anche in base all'esperienza collettiva, il compito assunto evitando i rischi prevedibili e le conseguenze evitabili. Ciò sul presupposto che se un soggetto intraprende un'attività, tanto più se di carattere tecnico, ha l'obbligo di acquisire le conoscenze necessarie per svolgerla senza porre in pericolo (o in modo da limitare il pericolo nei limiti del possibile nel caso di attività pericolose consentite) i beni dei terzi. Si parla dunque di misura "oggettiva" della colpa diversa dal concetto di misura "soggettiva" della colpa che non rileva nel presente giudizio. È stato sottolineato che la necessità di individuare un modello standard di agente si rende ancor più necessaria nei casi (per es. l'attività medico chirurgica) nei quali difettano regole cautelari codificate anche se vanno sempre più diffondendosi linee guida e protocolli terapeutici. L'agente modello, si è detto, va di volta in volta individuato in relazione alle singole attività svolte e "lo standard della diligenza, della perizia e della prudenza dovute sarà quella del modello di agente
che "svolga" la stessa professione, lo stesso mestiere, lo stesso ufficio, la stessa attività, insomma dell'agente reale, nelle medesime circostanze concrete in cui opera quest'ultimo".
Il parametro di riferimento non è quindi ciò che forma oggetto di una ristretta cerchia di specialisti o di ricerche eseguite in laboratori d'avanguardia ma, per converso, neppure ciò che usualmente viene fatto, bensì ciò che dovrebbe essere fatto. Non può infatti da un lato richiedersi ciò che solo pochi settori di eccellenza possono conoscere e attuare ma, d'altro canto, neppure possono essere convalidati usi scorretti e pericolosi; questi principi sono ormai patrimonio comune di dottrina e giurisprudenza pressoché unanimi nel sottolineare l'esigenza di non consentire livelli non adeguati di sicurezza sia che siano ricollegabili a trascuratezza sia che il movente economico si ponga alla base delle scelte.
Utilizzando quindi tale criterio dell'agente modello quale - lo si ribadisce- agente ideale in grado di svolgere al meglio il compito affidatogli; in questo giudizio si deve tener conto non solo di quanto l'agente concreto ha percepito ma altresì di quanto l'agente modello avrebbe dovuto percepire valutando anche le possibilità di aggravamento di un evento dannoso in atto che non possano essere ragionevolmente escluse.
L'addebito soggettivo dell'evento richiede comunque non soltanto che l'evento dannoso sia prevedibile ma altresì che lo stesso sia evitabile dall'agente con l'adozione delle regole cautelari idonee a tal fine, non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione ex ante, non avrebbe potuto comunque essere evitato. A questi criteri si è attenuta la Corte di merito che si è posta il problema dell'osservanza delle regole cautelari in relazione alla situazione percepibile con l'osservanza delle regole di cautela esigibili nella fattispecie dall'agente modello e non in relazione - come sostanzialmente sostenuto da parte di alcuni ricorrenti- alla preparazione professionale degli agenti concreti negando l'esistenza della colpa perché i medesimi non avevano la preparazione scientifica necessaria. Detta tesi è da ritenere erronea perché agente modello è colui che adegua la propria condotta alle conoscenze disponibili nella comunità scientifica e che, se non dispone di queste conoscenze, adempie all'obbligo - se intende svolgere un'attività che comporta il rischio di eventi dannosi - di acquisirle o di utilizzare le conoscenze di chi ne dispone o, al limite, di segnalare al datore di lavoro la propria incapacità di svolgere adeguatamente la propria funzione. Insomma se un soggetto riveste una posizione di garanzia per una funzione di protezione del garantito deve operare per assicurare la protezione richiesta dalla legge al fine di evitare eventi dannosi e non può addurre la propria ignoranza per escludere la responsabilità dell'evento dannoso. Ove si accedesse ad una diversa impostazione, chiunque, anche se inesperto e incapace, potrebbe svolgere un’attività che comporta rischi di eventi dannosi e che richiede, per il suo svolgimento, conoscenze tecniche o scientifiche adducendo la sua ignoranza nel caso in cui questi eventi dannosi in concreto si verifichino.
I ricorsi degli imputati nel resto sono a riguardo peraltro articolati con numerosi riferimenti a dati fattuali e, sostanzialmente, propongono una lettura alternativa del compendio probatorio effettuata, nella maggior parte dei casi, attraverso il confronto tra i contenuti della sentenza di primo grado e quella impugnata. Va in proposito ricordata la consolidata giurisprudenza di questa Corte orientata nel senso di ritenere che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell'apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (si vedano ad esempio, limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all'art. 606 cod. proc. pen. dalla L. n. 46 del 2006, Sez. 3 n. 12110, 19 marzo 2009; Sez. 6 n. 23528, 6 luglio 2006; Sez. 6 n. 14054, 20 aprile 2006; Sez. 6 n. 10951, 29 marzo 2006). Si è altresì precisato che il vizio di motivazione ricorre nel caso in cui la stessa risulti inadeguata perché non consente di riscontrare agevolmente le scansioni e gli sviluppi critici che connotano la decisione riguardo a ciò che è stato oggetto di prova ovvero impedisce, per la sua intrinseca oscurità od incongruenza, il controllo sull'affidabilità dell'esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti (Sez. 6 n.7651, 25 febbraio 2010). Ancor più efficacemente si è specificato come il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo della decisione impugnata sia circoscritto alla verifica dell'assenza, in quest'ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente, che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. 4 n. 15801, 19 aprile 2010, Sez. 6 n. 38698, 22 novembre 2006). Nel caso in esame la Corte territoriale ha sviluppato un percorso argomentativo del tutto coerente e logico, confrontandosi adeguatamente - come già sopra sottolineato con la sentenza assolutoria di primo grado.
Con riferimento alla prevedibilità dell'evento (unica questione su cui sostanzialmente le due sentenze di merito divergono, avendo il primo giudice ritenuto che non si era in presenza di segni di dissesto agevolmente riconoscibili) la Corte territoriale ha in primo luogo posto in evidenza - come già ricordato- come quello che la sentenza di primo grado definiva un semplice "controsoffitto", aveva invece la funzione di costituire il solaio di un cosiddetto vano tecnico della estensione di circa 1000 mq., e del peso di circa otto tonnellate, che, come tale doveva sostenere oltre il peso proprio, di per sé molto rilevante, anche il sovraccarico dei servizi presenti, del materiale che nel tempo si era ivi accumulato, nonché l'eventuale peso del personale della manutenzione, che sicuramente vi aveva fatto accesso, quanto meno per la sostituzione dei tubi di scarico del piano superiore. Agli imputati è stato quindi di fatto addebitato di aver ignorato l'esistenza dei detto vano che presentava numerose varie criticità e difetti, nonostante l'accertata presenza di una botola che ne consentiva agevolmente l'accesso. In particolare la sentenza impugnata ha sottolineato come il detto accesso, previa apertura della botola non costituiva un eccesso di scrupolo, ma una doverosa necessità per tutti gli imputati, onde adempiere agli obblighi giuridici connessi alle rispettive funzioni. L'apertura della botola avrebbe consentito di verificare lo stato del vano tecnico ed di evidenziarne le già ricordate problematiche (cfr. pagg. 34 e ss. della impugnata sentenza)
12. Non possono accogliersi neppure le doglianze proposte da tutti i ricorrenti, relativa al trattamento dosimetrico proposta con riferimento, in particolare, al diniego delle circostanze attenuanti generiche. È sufficiente ricordare che, in tema di circostanze attenuanti generiche, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita, essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda. In questa prospettiva, anche uno solo degli elementi indicati nell'articolo 133 c.p., attinente alla personalità del colpevole o alla entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso, può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti generiche, derivandone così che, esemplificando, queste ben possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell'imputato (Sezione 4, 15 luglio 2014, Lacchè).
L'applicazione di tali principi non consente l'accoglimento della doglianza, avendo il giudice motivato, nel rispetto dei parametri di cui all'articolo 133 c.p. valorizzando la gravita del fatto e negativamente la mancanza di una qualsiasi condotta meritoria da parte dei prevenuti.
13. Vanno da ultimo esaminate alcune questioni specifiche poste in particolare dal ricorrente M.S., anche se riecheggiate anche in altri ricorsi. Sostiene in particolare il M.S. che nulla gli potrebbe essere addebitato per aver emesso un'apposita direttiva volta ad effettuare dei sopralluoghi finalizzati ad accertare la necessità di eventuali interventi. Sul punto la gravata sentenza ha ritenuto l'assoluta genericità di detta direttiva. Detta affermazione - confutata dal ricorrente- va tuttavia calata nell'ambito dell'intero compendio motivazionale della gravata sentenza che ha sottolineato che pur essendo evidente che i funzionari e dirigenti della Provincia di Torino non avrebbero potuto svolgere personalmente tutti i controlli, agli stessi doveva comunque essere addebitata la mancata adeguata mappatura degli edifici al fine della valutazione di tutti i "rischi" verificabili, incombente questo rientrante nei precipui obblighi di controllo e di interevento su tutte le fonti di insicurezza. E che tale fosse la presenza del "controsoffitto" diu cui si discute è di palmare evidenza alla luce delle caratteristiche dello stesso quali in precedenza rammentate, della sua risalenza nel tempo, elementi questi che, come icasticamente affermato dalla difesa della parte civile nel corso del giudizio di appello e riportato nella sentenza impugnata (cfr. pag. 15) lo rendevano una vera e propria "bomba ad orologeria", innescata e sovrastante l'aula $ G del liceo Darwin, a fronte della quale per quasi mezzo secolo, nessun intervento era stato operato.
Altra questione posta è quella relativa alla individuazione quale "luogo di lavoro" del vano tecnico. Il motivo è manifestamente infondato, atteso che nella nozione di " luogo di lavoro", rilevante ai fini della sussistenza dell’obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra ogni luogo in cui viene svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità - sportive, ludiche, artistiche, di addestramento o altro - della struttura in cui essa si svolge e dell'accesso ad essa da parte di terzi estranei all'attività lavorativa. ( cfr. Sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013, Rv. 258435 ). Nel caso di specie, anche a voler prescindere dalla circostanza che il vano tecnico in questione era accessibile e che allo stesso si era concretamente fatto in passato accesso da parte degli operai per la sostituzione dei tubi, non può tralasciarsi che esso costituiva anche il controsoffitto dell'aula sottostante (nonché di numerosi altri locali) , aula in cui si svolgeva costantemente attività lavorativa anche in senso stretto.
E' stata posta altresì questione in ordine alle effettive cause di morte dello studente V.S., individuate dai giudici di merito nel colpo da questi subito alla testa ove era stato attinto da uno dei tubi di ghisa abbandonati nel vano tecnico. Anche detto accertamento è stato compiuto dai giudici di merito sulla base delle risultanze peritali per cui si rimanda alle osservazioni svolte in precedenza.. La questione tuttavia non ha la rilevanza che gli viene attribuita atteso che non modifica sostanzialmente il decorso causale dell'evento, in ogni caso immediata conseguenza del crollo del solaio, cui ha sicuramente contribuito quale concausa il sovraccarico del materiale ivi lasciato. La presenza di detto materiale, icto oculi accertabile rafforza per altro verso le argomentazioni in ordine alla prevedibilità e prevedibilità dell'evento come sopra formulate.
14. Ultima questione è quella relativa alla condanna alle spese sostenute dalle parti civili non impugnanti. Sul punto la gravata sentenza ha richiamato la sentenza n. 30327 del 2002 delle SS.UU., Guadalupi, Rv. 222001, secondo cui il giudice di appello, che su gravame del solo pubblico ministero condanni l’imputato assolto nel giudizio di primo grado, deve provvedere anche sulla domanda della parte civile che non abbia impugnato la decisione assolutoria, ché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili liquidate come da dispositivo. Detta decisione ha trovato successive conferme (cfr. ex plurimis Sez. 4, n. 26841 del 14/05/2003 , Rv. 225114 ), sulla base del principio della cd. immanenza della parte civile più volte ribadito da questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 10802 , Rv. 243976 )
15. Al riscontro dell’infondatezza di tutti i motivi di doglianza avanzati dai ricorrenti segue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi proposti da DM.M., M.S., M.E. , T.F., S.D. e P.P., che condanna al pagamento delle spese processuali.
Condanna i predetti imputati DM.M., M.S., M.E. , T.F., S.D. e P.P. alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili in questo giudizio di cassazione che liquida in
euro 2500,00 in favore di C.C.
euro 8000,00 in favore di  ; euro 2500,00 in favore di  ;
euro 4500,00 in favore di  ;
;
euro 2500,00 in favore di Legambiente Onlus;
euro 7500,00 in favore di  ;
euro 2500,00 in favore di Cittadinanza Attiva Onlus: euro 2500,00 in favore del Comune di Rivoli
Così deciso nella camera di consiglio del 3 febbraio 2015

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  • Cassazione Penale, Sez. 4, 21 gennaio 2016, n. 2536 - Crollo dell'edificio che ospitava il Convitto nazionale in l'Aquila. Omicidio colposo a carico del dirigente scolastico e di quello del settore edilizia e pubblica istruzione

Fatto



1. Il Tribunale di L'Aquila ha affermato la responsabilità di B.L. in ordine ai reati di omicidio colposo in danno di Ce.Lu., N.O. e Z.M. e di lesioni colpose in danno di Co.Mi. e C.L.; ed ha invece assolto M.V. dalle medesime imputazioni per non aver commesso il fatto. Si sono costituiti parti civili i congiunti del defunto Ce., i due giovani feriti e le associazioni Cittadinanza attiva e Codacons. All'affermazione di responsabilità del B. ha fatto seguito la condanna al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili Ca.Lu. (anche quale esercente la potestà nei confronti della figlia Ce.Gi.), C.L., C. O., I.A., da liquidarsi in separata sede; e frattanto al pagamento di una provvisionale nei confronti di Ca.Lu. e Ce.Gi.. Sono stati invece rigettate le richieste avanzate dalle altre parti civili.

La sentenza è stata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di L'Aquila che ha affermato la responsabilità anche del M.; e lo ha condannato al risarcimento del danno in favore della parte civile Cittadinanza attiva.

I responsabili civili Convitto nazionale D.C. e Ministero dell'istruzione sono stati altresì condannati, in solido con l'imputato B., al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili C.L., C.O., I. A. e Ca.Lu. (anche quale esercente la potestà nei confronti della figlia Ce.Gi.), da liquidarsi in separata sede.

La domanda di Cittadinanza attiva nei confronti dei responsabili civili è stata respinta.

L'appello proposto dalla parte civile Ca.Lu. è stato dichiarato inammissibile.

2. L'imputazione attiene ad un tragico evento verificatosi nella notte del 6 aprile 2009. A seguito di una violenta scossa sismica, l'edificio che ospitava il Convitto nazionale in L'Aquila subiva rilevanti crolli di porzioni di muratura e dei solai, a seguito dei quali derivavano gli eventi lesivi oggetto del processo.

Al B., nella veste di Dirigente scolastico del Convitto, è stato mosso l'addebito colposo di non aver valutato la totale inadeguatezza dell'edificio dal punto di vista statico e sismico, vetusto nelle strutture e mai sottoposto ad opere di ristrutturazione, privo di tutti i certificati di idoneità ed agibilità ed indicato in diversi documenti ingegneristici come edificio di media-elevata vulnerabilità sismica; e di aver colposamente omesso di adottare provvedimenti volti allo sgombero dell'edificio o comunque alla salvaguardia dell'incolumità degli studenti pur a seguito di numerose e rilevanti scosse sismiche verificatesi in precedenza; di avere omesso di redigere un idoneo piano per la sicurezza; di avere infine omesso qualunque valutazione sull'adeguatezza delle strutture portanti dell'edificio in termini di sicurezza statica e sismica.

Al M., nella qualità di Dirigente del settore edilizia e pubblica istruzione della Provincia di l'Aquila, ente tenuto alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell'immobile, è stato mosso l'addebito di non aver valutato la totale inadeguatezza del medesimo edificio e di non aver adottato provvedimenti per lo sgombero e la sicurezza dell'edificio o comunque per la salvaguardia degli ospiti.

3. Ricorrono per cassazione gli imputati.

M. deduce diversi motivi.

3.1. La Corte, nonostante le affermazioni formali, nel riformare la prima sentenza, è venuta meno all'obbligo di motivazione rafforzata, essendosi limitata ad una alternativa lettura delle emergenze probatorie. La pronunzia non si confronta con i passaggi fondamentali del ragionamento assolutorio espresso dal primo giudice.

Si è omesso di prendere in considerazione la pochezza delle risorse economiche disponibili; il ruolo subordinato dell'imputato privo di autonoma capacità decisionale. Sono state proposte affermazioni puramente assertive in ordine alla praticabilità di una procedura di somma urgenza ed alla utilità della convocazione di una conferenza di servizi. Si propongono mere ipotesi di lavoro e non si compie un'appropriata valutazione in ordine alla loro rilevanza eziologica.

In sintesi, la sentenza non si confronta con il tema afferente all'assenza di un'effettiva posizione di garanzia del M., unicamente debitore di un obbligo manutentivo. In ogni caso, non vi è nessuna dimostrazione circa la posseduta e certa capacità di salvaguardare il bene protetto.

Si è in particolare trascurato di considerare il parere del Consiglio di Stato circa l'obbligo delle Province, in ordine agli immobili scolastici non di loro proprietà, di assicurare unicamente la manutenzione ordinaria e straordinaria. Inoltre, la convenzione tra Convitto e Provincia condizionava gli interventi all'esistenza di mezzi finanziari adeguati ad assicurare il consolidamento ed il rafforzamento strutturale dell'immobile. Il M. era pure privo di poteri decisionali e di spesa.

La sentenza, inoltre, ha omesso di individuare il fondamento giuridico del ritenuto obbligo di sgomberare l'edificio. Essa non si è fronteggiata con la prima sentenza che aveva escluso qualsiasi potestà di intervento dell'imputato e dell'ente provinciale in ordine alla evacuazione o chiusura dell'immobile. Il Tribunale aveva infatti inequivocabilmente ritenuto che il ricorrente avesse meramente l'obbligo di occuparsi di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria nell'ambito delle previsioni della convenzione. Egli non aveva quindi alcun dovere normativamente previsto di intervento per lo sgombero dell'edificio e la salvaguardia dell'incolumità delle persone. Lo stesso Tribunale aveva rimarcato la piena autonomia gestionale e decisionale del Convitto senza che vi fosse un potere di interferenza di uno degli enti nei confronti dell'altro. Tutti tali temi sono stati elusi dalla sentenza di appello.

3.2. La Corte d'appello ha pure violato l'obbligo di esaminare e valutare le argomentazioni non sviluppate nella pronuncia assolutoria ma comunque dedotte dall'imputato. Viene diffusamente richiamato il contenuto di una memoria depositata in vista del giudizio di appello e si ritiene che la sentenza abbia completamente pretermesso di misurarsi criticamente con i temi introdotti, di decisiva rilevanza per l'esito del giudizio: i rapporti giuridici tra Convitto e Provincia; la corretta lettura della circolare ministeriale n. 617 del 2009 e della convenzione tra Convitto e Provincia stipulata nel 2002; la posizione subordinata ed il modus operandi dell'ingegner M.; la evidente e cronica carenza presso la Provincia dell'Aquila delle risorse economiche per interventi più importanti di quelli manutentivi; gli elementi di valutazione circa l'adeguatezza dello stato dell'edificio che il ricorrente aveva a disposizione; e le ragioni della inattendibilità delle cosiddette fonti accusatorie. Dunque l'obbligo motivazionale non è stato adempiuto.

3.3 Oggetto di censura è pure la ritenuta esistenza di una posizione di garanzia in capo al M., avente ad oggetto i rischi indotti dalle carenze strutturali e costruttive dell'edificio. La sentenza fonda l'obbligo principalmente sulla convenzione del 2002 tra Provincia e Convitto, nonchè sulla richiamata circolare ministeriale n. 617 del 2009 e sul D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, comma 3. Si assume che l'imputato avesse l'obbligo di attivarsi per la messa in sicurezza sismica dell'immobile, ovvero per l'inibizione dell'uso e l'evacuazione.

Il ricorrente considera che la citata convenzione mai giunge a fare specificamente carico alla Provincia di oneri importanti, cospicui, radicali e di elevatissimo impegno finanziario, che avrebbero evocato per legge e per ragionevolezza la titolarità del diritto di proprietà dell'edificio, con i relativi poteri decisionali. Le necessarie opere di consolidamento strutturale e statico avrebbero oltrepassato di gran lunga, anche sul piano dei costi, l'entità dei modesti obblighi manutentivi di cui parla la convenzione. Le parti della convenzione mai hanno dubitato che la pattuizione implicasse esclusivamente obblighi di manutenzione ordinaria e straordinaria e che invece interventi di consolidamento rimanessero in capo all'ente proprietario e quindi al Convitto ed al Ministero della pubblica istruzione. Si evocano a tale riguardo le dichiarazioni dell'ingegner Bo., predecessore dell'imputato, e quella della presidente dell'Amministrazione Provinciale. D'altra parte è lo stesso capo d'imputazione ad evocare unicamente l'obbligo manutentivo. Se è vero, si aggiunge, che interventi anche su parti strutturali degli edifici sono fatti rientrare dalla legge nella manutenzione straordinaria, è anche vero che essi non possono assimilarsi in alcun modo agli interventi di consolidamento strutturale statico ritenuti necessari dai giudici di merito. Induce in tal senso anche l'interpretazione resa dal Consiglio di Stato con parere nel 1997, che prevede a carico della Provincia non proprietaria degli edifici scolastici solo opere di manutenzione ordinaria e straordinaria.

Si aggiunge che nella materia è inconferente la ridetta circolare n. 617 del 2009 che si riferisce ai proprietari o gestori di opere pubbliche strategiche con finalità di protezione civile o suscettibili di conseguenze rilevanti in caso di collasso. Difetta sia la proprietà che la natura di opera strategica con finalità di protezione civile dell'edificio.

Pure inconferente viene ritenuto il richiamo al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18 che fa riferimento alle situazioni in cui le pubbliche amministrazioni abbiano avuto assegnato in uso l'edificio destinatario degli interventi previsti dalla norma. E' indiscusso, infatti, che nella specie l'uso dell'edificio e la sua gestione sono sempre rimasti nella titolarità del Convitto.

La ritenuta esistenza di posizione di garanzia è oggetto di censura pure per ciò che attiene all'esistenza di mezzi impeditivi dell'evento. Si sarebbe dovuta accertare la presenza presso la Provincia delle risorse finanziarie bastevoli ad effettuare un intervento capace di mettere in sicurezza sismica l'immobile; nonchè il possesso da parte dell'imputato della necessaria autonomia decisionale e di spesa.

L'art. 3 della convenzione condiziona l'assunzione degli oneri di intervento alla disponibilità delle risorse finanziarie necessarie.

Dunque il giudice avrebbe dovuto verificare l'esistenza di tale condizione e quindi l'esistenza di fondi idonei. La difesa ha ricordato la cronica insufficienza di fondi presso la Provincia, dimostrata dal rinvio di anno in anno dell'attuazione del progetto manutentivo predisposto dall'ufficio edilizia scolastica nel 2004, dell'importo di Euro 555.000, per mancanza della relativa copertura finanziaria.

La pronunzia, si deduce ancora, ha semplicemente ventilato possibili ed eventuali segnalazioni o iniziative sollecitatorie, senza farsi carico di accertare che l'attivazione di esse avrebbe certamente consentito il reperimento delle risorse necessarie. Dunque, è mancata la prova che la condotta doverosa avrebbe attinto il risultato impeditivo dell'evento antigiuridico. A dimostrazione di ciò si considera che la sentenza impugnata non fornisce indicazione alcuna in ordine agli effettivi importi necessari all'esecuzione dei lavori. Il ragionamento accusatorio è dunque indeterminato e manifestamente illogico.

La sentenza è oggetto di censura anche per ciò che attiene all'esistenza di autonomia decisionale e di spesa ed al ruolo subordinato del professionista. Il tema non è stato trattato dalla sentenza d'appello, sebbene il Tribunale avesse al contrario affrontato l'argomento considerando che il funzionario aveva competenze limitate alla programmazione degli interventi di manutenzione; condizionate dalla indisponibilità di fondi e dalla necessità di adeguarsi al piano degli interventi predisposto dalla Provincia, nel rispetto delle priorità indicate dagli organi politico-amministrativi. Invano la memoria difensiva già evocata ha richiamato l'attenzione della Corte sul fatto che l'imputato aveva solo un potere di proposta agli organi di direzione politica ed un potere di spesa nei limiti fissati dal documento di programmazione annuale. In breve, la Corte d'appello non si è confrontata con la prima sentenza e con la memorie difensive e non ha considerato le dimensioni reali delle potestà riservate all'imputato. In conclusione, secondo il ricorrente, difettavano i poteri impeditivi che per costante giurisprudenza sono condizione per la configurabilità dello status di garante.

3.4. Ancora, la pronunzia è oggetto di censura per ciò che attiene all'accertamento del nesso causale tra la condotta omissiva e l'evento lesivo; e quindi in ordine all'attitudine di tale condotta ad assicurare con elevata probabilità logica che le strutture dell'edificio avrebbero resistito alle scosse sismiche. Tale questione non è stata neppure introdotta nella motivazione della decisione impugnata. E' stato completamente omesso il necessario giudizio controfattuale.

3.5. Argomento di ulteriore censura è la ritenuta esistenza di condotta colposa, valutazione che ha omesso di considerare circostanze e questioni sollevate nella richiamata memoria. Numerosi ed attendibili elementi inducevano l'imputato a ritenere che l'edificio non versasse nelle condizioni di debolezza strutturale di cui si dice nella sentenza. Le fonti da cui la pronunzia ha tratto la prova della criticità sismica dell'immobile sono inattendibili. Le criticità hanno sempre riguardato l'impiantistica e l'arredo architettonico, ritenuti non più rispondenti alla normativa per la loro vetustà. Si tratta di aspetti trascurati nella pronunzie.

3.6. Oggetto di doglianza è pure la ritenuta esistenza di una posizione di garanzia in forza della quale l'imputato avrebbe dovuto attivarsi per l'inibizione dell'uso e l'evacuazione dell'edificio. In particolare, la già richiamata circolare n. 617 del 2009 non era applicabile, come già in precedenza esposto. Neppure pertinente è il richiamo ai provvedimenti cautelari adottati dal sindaco dell'Aquila: questi, contrariamente all'amministrazione Provinciale ed al Dirigente dell'edilizia scolastica, possedeva un preciso e duplice titolo di legittimazione ad intervenire, per essere il Comune proprietario di quegli edifici e per la qualità di autorità locale di protezione civile. L'assenza di potere al riguardo è stata ampiamente considerata nella prima sentenza che ha rimarcato l'inesistenza di alcun titolo giuridicamente idoneo, di alcun dovere normativamente previsto. E' pure da escludere l'esistenza di un obbligo di sollecitazione nei confronti degli organi della Provincia e del rettore del Convitto, ai fini dell'adozione di provvedimenti di inibizione all'uso ed evacuazione. Infatti la Provincia non aveva alcun compito o potere al riguardo. D'altra parte, neppure nei confronti del rettore del Convitto esisteva alcun obbligo, giacchè questi si avvaleva del Servizio di prevenzione e protezione cui competevano obblighi di segnalazione e proposta rispetto alle situazioni pericolose per gli occupanti dell'immobile. Anche al riguardo il primo giudice ha espresso valutazioni dirimenti.

3.7. La sentenza ha pure trascurato di considerare l'incidenza causale del comportamento omissivo, pervenendo attraverso tale omissione motivazionale ad un'applicazione erronea dell'art. 40 cpv cod. pen.. La Corte aquilana mai si è interrogata sull'evoluzione degli accadimenti qualora l'imputato avesse adempiuto all'obbligo di segnalazione e sollecitazione. Il Rettore aveva ricevuto da tempo, secondo la Corte d'appello, ripetute segnalazioni di allarme dal proprio tecnico di fiducia, il Responsabile del servizio di prevenzione, senza assumere alcuna iniziativa di messa in sicurezza o di chiusura dell'immobile. Dunque, occorre ritenere che il Rettore avrebbe con ogni probabilità mantenuto il medesimo atteggiamento per effetto di una segnalazione da parte dell'imputato.

3.8 La difesa del M. ha presentato note difensive, ribadendo ed ampliando precedenti deduzioni.

Si rammenta l'obbligo di legge della Provincia limitato alla manutenzione ordinaria e straordinaria; norma di stretta interpretazione.

La convenzione avrebbe dovuto essere stipulata, per gli oneri gravosi che comporta, dal Consiglio Provinciale. Quella sottoscritta dal Dirigente è nulla.

Nessun intervento è ipotizzabile senza il consenso del proprietario.

La Provincia ha vanamente tentato di acquisire la proprietà per addivenire al restauro.

La veste datoriale ai sensi del D.Lgs. n. 81 era dell'organo politico e non del dirigente, privo di poteri decisionali e di spesa, se non per interventi ordinari di manutenzione.

In ogni caso l'art. 18, comma 3, del T.U. prevede che l'obbligo previsto in capo alla pubblica amministrazione s'intende assolto da parte dei dirigenti con la richiesta di adempimento all'amministrazione competente. Dal processo è emerso che l'imputato ha fatto tutto quanto in suo potere per attivare i soggetti tenuti ad intervenire.

E' stata indebitamente espressa un'equazione tra la posizione apicale e la addebitabilità del mancato approntamento dei lavori di messa in sicurezza e ristrutturazione; trascurando l'assenza di alcun potere in ordine allo sgombero, che era atto di competenza del rettore.

4. Pure B. propone diverse censure.

4.1. L'imputato, nella veste di dirigente scolastico, non ha mai assunto il ruolo di garante. Egli non era tenuto ad elaborare specifici progetti per l'adeguamento dell'edificio. E la legge attribuisce ad altri soggetti l'obbligo di provvedere ai lavori per assicurare la resistenza sismica. Vengono a tale riguardo evocati atti normativi afferenti ad interventi per la riconduzione a sicurezza di edifici scolastici. La giurisprudenza costituzionale ha posto in luce le peculiarità dei Convitti nazionali e degli istituti scolastici, evidenziando l'impossibilità di attribuire loro una incondizionata libertà di autodeterminazione. L'imputato non è mai stato al vertice di un ente pubblico dotato di mezzi o risorse proprie, nè è stato nominato soggetto attuatore per l'eliminazione del rischio sismico; nè, ancora, ha mai ricoperto alcuno degli incarichi che a livello nazionale o locale implichino obblighi nella materia.

Si aggiunge che il Convitto nazionale è dotato di personalità giuridica e sottoposto alla tutela del Provveditorato agli studi cui sono inviati per l'approvazione gli atti e le deliberazioni del Consiglio di amministrazione. L'ente ha dunque un vincolo gerarchico di dipendenza funzionale rispetto al Provveditorato agli studi; e la personalità giuridica deve essere intesa unicamente come una sorta di limitata facoltà gestionale.

La posizione dell'imputato non è sotto alcun profilo paragonabile a quella attribuita ai rettori delle università e non implica, quindi, poteri di intervento sugli immobili.

Oltre a ciò, occorre considerare che il Convitto medesimo era ospite di un immobile di proprietà della Provincia di L'Aquila in base alla L. 11 gennaio 1996, n. 23, art. 8, commi 1 e 2.

4.2. Erroneamente si è ritenuto che l'edificio oggetto dei processo fosse di proprietà del Convitto nazionale. Si è incongruamente attribuito rilievo ai dati catastali che costituiscono solo un strumento secondario, sussidiario. Dunque, il fatto è diverso da quello contestato e la sentenza è affetta quindi da nullità.

4.3. La sentenza si è basata su circostanze inesistenti e contraddette da prove incontrovertibili acquisite in atti.

La cittadina di L'Aquila era oggetto da mesi di rilevanti scosse e l'imputato, nella veste di dirigente scolastico, doveva attenersi solo a dati certi, elementi incontrovertibili, norme vigenti ed ordini della pubblica amministrazione legittimamente impartiti; e non lasciarsi condizionare da questioni non scientifiche o emozionali.

L'area in questione era classificata come zona sismica n. 2, cioè con sismicità media e dunque non caratterizzata da terremoti di forte intensità. Al contrario, la sentenza si è basata su un parere scientifico redatto solo dopo i fatti.

Oltre a ciò, bisogna considerare che pochi giorni prima del sisma sulla stampa era comparsa la dichiarazione di autorevole rappresentante della protezione civile che rassicurava, evocava la comunità scientifica ed escludeva un pericolo attuale. Analoghe dichiarazioni rendeva il responsabile nazionale della protezione civile, raccolte dalla stampa come da documentazione prodotta in giudizio, senza che i giudici di merito ne abbiano tenuto alcun conto.

Rassicurazioni venivano pure rese da un esponente della Commissione grandi rischi (anche esse riportate dalla stampa), che limitava il rischio ad eventi minori: danni ad elementi secondari ma non strutturali.

In conclusione, la capacità di decisione dell'imputato era condizionata dalle dichiarazioni ufficiali. Difettava la possibilità di prevedere l'evento verificatosi. La conformità del comportamento dell'imputato ai dettami della detta Commissione è tale da richiedere l'applicazione dell'art. 51 cod. pen. per aver adempiuto ad un dovere imposto da un ordine della pubblica autorità, che dovrebbe essere semmai ritenuta responsabile degli accadimenti.

Per ciò che attiene al mancato sgombero dell'edificio, l'imputato, nella veste di dirigente scolastico, si è attenuto ai suggerimenti autorevolmente forniti dall'Avvocatura dello Stato, che rappresentavano l'inopportunità di adottare disposizioni interne all'istituto scolastico che consentissero ai genitori di richiedere il rientro a casa degli allievi minori non accompagnati da un maggiorenne.

4.4. Oltre a ciò, si deduce ancora, nessun comportamento antigiuridico è stato tenuto dal ricorrente, posto che da un punto di vista regolamentare i minori potevano essere fatti uscire solo se affidati all'esercente la potestà genitoriale o ad un maggiorenne all'uopo delegato; e che la Protezione civile aveva categoricamente escluso situazioni di pericolo o il sorgere di problematiche ulteriori rispetto a quanto fino a quel momento avvenuto. E la decisione di un istitutore, cioè di un docente, di dar corso lo sgombero fu assunta in assenza di alcuna autorizzazione da parte delle dirigente scolastico.

5. Ricorso di analogo testuale contenuto ha proposto personalmente l'imputato.

6. Il Codacons Onlus ha dedotto di essersi costituita parte civile ed ha lamentato la omessa citazione per il giudizio di appello. In base al principio di immanenza della costituzione di parte civile, tale citazione era dovuta; e la sua omissione implica nullità della sentenza.

7. La parte civile Ca. ha presentato una memoria. 



Diritto


1. I ricorsi degli imputati sono infondati. E' invece fondato il ricorso del Codacons. La varietà delle questioni proposte impone di esporre analiticamente il contenuto delle parzialmente divergenti valutazioni espresse dai giudici di merito.

Per il Tribunale il terremoto non rappresenta un fatto eccezionale nel quadro della sismicità dell'area; e le sue caratteristiche rientrano negli elaborati di pericolosità sismica utilizzati per assegnare i Comuni alle zone sismiche e per stabilire gli spettri della normativa antisismica. Il carattere di prevedibilità e non eccezionalità dell'evento sismico costituisce dato definitivo non posto in discussione tra le parti.

La proprietà dell'edificio è del Convitto nazionale, ente giuridico pubblico presieduto da un rettore. Lo si desume dalla L. n. 23 del 1996, artt. 3 ed 8 oggetto di analitica interpretazione del Consiglio di Stato: tutte le istituzioni scolastiche vengono poste sotto la cura delle amministrazioni Provinciali, ma quelle appartenenti a soggetti diversi dagli enti territoriali non vengono trasferite in proprietà alle Province. E sono previste convenzioni per disciplinare il rapporto tra Ente proprietario e Provincia. Dunque i convitti, istituzioni educative ma non scolastiche, sono configurati come enti autonomi con sedi di loro proprietà. Il dato è confortato dalle visure catastali. Inoltre un decreto Ministero dei Beni culturali dell'anno 2000 in tema di tutela vincolistica ha espressamente individuato la proprietà in capo al Convitto. A tale riguardo vi è stata modifica della contestazione in udienza preliminare, proprio per attribuire la proprietà al Convitto.

Il Tribunale considera pure che i consulenti hanno posto in luce la vetustà costruttiva e la scadente qualità del manufatto, come documentato anche dal crollo di numerosi solai, del tetto, di murature portanti.

Coerenti in tal senso sono anche le relazioni di Collabora Engineering, del Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione ing. Is., dei tecnici dell'Università di l'Aquila: essi hanno relazionato le amministrazioni interessate alla gestione e sicurezza dell'edificio. Dirimenti vengono peraltro ritenute le testimonianze degli occupanti dell'alloggio, che hanno riferito della estrema fatiscenza della struttura. Tali concordi valutazioni, secondo il Tribunale, confutano la tesi della difesa di M.: l'edificio era in stato veramente fatiscente e non garantiva nessuna sicurezza a chi vi dimorava. Esso era inidoneo a reggere l'impatto del terremoto.

La manutenzione ordinaria e straordinaria, considera ancora il primo giudice, è affidata alla Provincia di L'Aquila ai sensi della L. n. 23 del 1996. La Provincia ha nel corso degli anni eseguito numerosi interventi di manutenzione coerenti con la natura ed i limiti della convenzione. Tali interventi non erano idonei a risolvere i gravissimi problemi strutturali dell'edificio.

Alla luce di tale complessiva valutazione della situazione, il Tribunale argomenta che "il ruolo professionale del M. risulta essere praticamente irrilevante rispetto alle enormi problematiche tecniche, giuridiche ed economiche che la messa in sicurezza sismica dell'edificio avrebbe comportato". Il Convitto nazionale costituisce ente autonomo dotato di personalità giuridica, gestito da un consiglio di amministrazione e da un rettore rispetto al quale l'imputato è privo di qualsiasi potere decisionale e la sua funzione professionale è limitata alla programmazione degli interventi di manutenzione a lui richiesti dagli organi di diretta gestione dell'ente proprietario. Peraltro, anche in presenza di tali richieste, l'imputato vedeva limitato il suo potere decisionale dalle scarse risorse e dalla necessità di adeguarsi al piano di interventi predisposto dalla Provincia, nel rispetto delle priorità indicate dall'ente territoriale. Tale situazione azzera qualsiasi dubbio in ordine alla totale insussistenza di qualsiasi comportamento omissivo da parte dell'imputato in relazione alle gravi criticità strutturali.

Lo stato di grave degrado dell'edificio e l'esiguità delle risorse costituiscono ostacoli insormontabili per individuare responsabilità personali o istituzionali per mancati interventi idonei ad evitare la tragedia. Gli interventi necessari per porre in sicurezza l'edificio sarebbero stati enormi con costi elevatissimi, sostenibili solo attraverso il coinvolgimento simultaneo dello Stato e di tutti gli altri enti territoriali interessati. I due imputati erano certamente edotti delle precarie condizioni in cui versava l'immobile, ma i mancati interventi finalizzati a raggiungere un accettabile stato di sicurezza non possono essere posti a fondamento della loro responsabilità penale.

Il vero tema da esaminare è rappresentato dalla condotta dei due imputati con riferimento alla mancata chiusura ed evacuazione del Convitto. Qui, secondo il Tribunale, è il cuore del processo. La reale causa, insieme al terremoto, degli eventi lesivi.

All'imputato M., si considera ancora, è anche contestato un profilo di colpa afferente alla mancata assunzione di provvedimenti autoritativi di sgombero dell'edificio finalizzati alla salvaguardia dell'incolumità, alla luce della sua conoscenza delle gravi carenze strutturali. Occorre chiedersi se il M. fosse il destinatario di una norma giuridica, di un preciso obbligo di intervento diretto o indiretto finalizzato allo sgombero, posto che egli era a conoscenza, come l'altro imputato, delle condizioni dell'edificio. A tale quesito il Tribunale risponde negativamente. Il dirigente era collocato nella struttura gerarchico-amministrativa dell'ente ed era tenuto esclusivamente ad occuparsi dei lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria nell'ambito della convenzione. Egli non aveva quindi nessun dovere di intervento per lo sgombero dell'edificio e neppure gli può essere attribuito un obbligo di suggerimento e stimolo in tal senso, che non è previsto da nessuna norma. Nè la convenzione contiene espressioni dalle quali trarre argomento dal quale desumere l'esistenza di tale obbligo, considerata anche la piena autonomia gestionale e decisionale dell'ente.

Anche nei confronti del B. non può essere ritenuto alcun addebito afferente alla mancata ristrutturazione dell'edificio, monumento architettonico di riconosciuto pregio.

Nei suoi confronti occorre solo esaminare il distinto profilo di colpa afferente alla mancata adozione di iniziative in prossimità dell'evento, volte a sottrarre i giovani alla rovina dell'edificio.

Si rammenta che ai sensi del D.Lgs. n. 297 del 1994 i Convitti nazionali hanno per fine l'educazione e lo sviluppo intellettuale fisico dei giovani. Il dirigente scolastico ha numerosi obblighi definiti dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2 e dal D.M. n. 292 del 1996, art. 1: egli riveste la qualità di datore di lavoro. Su di lui dunque incombono tutti gli obblighi datoriali che vengono analiticamente rammentati. La rilevanza di tale normativa è stata recepita dalla circolare ministeriale n. 119 del 29 aprile 1999. Tale circolare si inserisce nella normativa di riferimento costituita dal richiamato D.Lgs.. n. 81 e da alcuni decreti ministeriali attuativi.

Le circolari chiariscono la sostanziale parificazione tra datore di lavoro e dirigente scolastico. Vi è dunque in primo luogo un obbligo di valutazione dei rischi da esprimere in apposito documento con la collaborazione del responsabile della sicurezza.

Gli obblighi in questione si intendono assolti ai sensi del D.Lgs. n. 81, art. 18, comma 3, con la richiesta di opportuni interventi nei confronti delle amministrazioni competenti; fermo restando l'obbligo di garantire nelle more dell'intervento richiesto un equivalente livello di sicurezza e, nel caso in cui ciò non sia possibile, di interrompere l'attività. Ulteriore conferma si rinviene nel D.M. 29 settembre 1998, n. 382. Il preminente rilievo attribuito alla posizione di garanzia del dirigente scolastico è ribadito nella circolare ministeriale n. 119 del 1999 che, proprio per ciò che concerne gli interventi sulle strutture prevede l'obbligo del capo d'istituto di adottare ogni misura idonea e contingente in caso di grave ed immediato pregiudizio per l'incolumità dell'utenza. Si configura insomma una pregnante posizione di garanzia in tema di incolumità delle persone.

Tale obbligo è stato palesemente violato a causa della mancata valutazione della totale inadeguatezza dell'edificio dal punto di vista statico, sismico. Esso era vetusto e non sottoposto ad opere di ristrutturazione, privo di certificati di idoneità statica, di collaudo statico, di certificazione di prevenzione antincendi, indicato nel censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici strategici speciali della regione Abruzzo nell'anno 1996.

Pure nei confronti del B. non è esigibile la condotta idonea a porre in essere gli enormi interventi strutturali che sarebbero stati necessari per la messa in sicurezza dell'edificio soprattutto in considerazione dei pesanti limiti economici gravanti sugli enti interessati.

Ben altre appaiono viceversa le omissioni poste in essere da costui nel lasso di tempo trascorso dall'inizio dell'attività sismica sino al tragico evento. Le sue responsabilità sono emerse in dibattimento in tutta la loro gravità. Le testimonianze raccolte evidenziano la sua totale inerzia pure in presenza dello stato di degrado e di patente insicurezza dei locali, riferito dai ragazzi scampati alla scossa di quella notte. Il solo fatto che egli abbia consentito il protrarsi delle attività in quell'edificio nel quale nessuno avrebbe dovuto ancora dimorare rappresenta un'insuperabile prova delle sue responsabilità. In una situazione in cui da mesi la zona era interessata dal continuo stillicidio delle scosse, egli ha omesso di porre la dovuta attenzione alle condizioni in cui versava la struttura, documentate dalle infiltrazioni di acqua piovana, dalla caduta di intonaci, dalle imponenti crepe. D'altra parte lo stato dell'edificio era perfettamente noto all'imputato non solo in relazione a quanto riferito dai ragazzi ma anche in quanto lo stesso alloggiava nell'edificio con la sua famiglia. Inoltre l'ingegnere responsabile della sicurezza aveva ampiamente relazionato per iscritto circa le gravi carenze riscontrate nelle strutture a seguito di periodici sopralluoghi in tutti i locali. La professionista ha ricordato in dibattimento di avere direttamente rappresentato al dirigente scolastico le criticità strutturali e di aver personalmente assistito ai colloqui telefonici con i tecnici della Provincia con riferimento alle problematiche dell'immobile.

Anche dalla testimonianza del direttore amministrativo emerge che l'edificio è dotato di un piano di emergenza nel quale erano espressamente previsti gli interventi di evacuazione in caso di terremoto e che erano state fatte diverse esercitazioni. La mancata evacuazione del Convitto, protrattasi per un intollerabile lasso temporale, rappresenta il punto nodale della responsabilità penale dell'imputato. Del resto la fatiscenza dell'edificio è stata riferita da diversi testi che nel corso degli anni si sono occupati di interventi edilizi sull'edificio.

Insomma, anche alla luce delle eloquenti drammatiche testimonianze dei giovani allievi, la chiusura dell'Istituto appariva assolutamente improcrastinabile. Ciò appariva ancora più evidente in considerazione degli accadimenti sviluppatisi nelle drammatiche e concitate ore che hanno preceduto la devastante scossa delle ore 3,32.

Il Tribunale da conto delle forti scosse, delle richieste dei giovani di lasciare l'edificio, dell'autorizzazione data ai maggiorenni ma non ai minorenni, in una situazione in cui i calcinacci cadevano dal tetto e dal soffitto. Dunque l'imputato operò una scelta precisa in totale spregio del piano di sicurezza vigente e delle più elementari regole cautelari. Il Tribunale valuta la condotta dell'imputato come colposa ed assurdamente negligente. Costui ha omesso di adottare sin dall'epoca del primo manifestarsi delle scosse risalente all'anno precedente l'unico provvedimento che la situazione imponeva: la chiusura del Convitto. La sua responsabilità è cresciuta in modo esponenziale man mano, con il ripetersi delle scosse sino al culmine nella tragica notte, dopo le forti scosse delle 22,40 e delle 00,39.

Tra l'altro l'imputato approvò la scelta, compiuta da un istitutore nei giorni precedenti, di evacuare l'edificio ma fece l'esatto contrario nella tragica notte in cui non consentì ai ragazzi di mettersi in salvo.

La responsabilità quale garante dell'imputato derivava, oltre che dalla legge, anche dal contratto attraverso il quale gli aveva assunto il ruolo di dirigente dell'istituzione con ruolo che, quanto ai minori, sostituiva quello genitoriale. D'altra parte, sul piano controfattuale non vi è dubbio che la condotta omessa avrebbe senz'altro evitato l'evento. D'altra parte, oltre a ciò, la giurisprudenza di legittimità ha individuato il contatto sociale quale relazione giuridicamente rilevante ai fini dell'individuazione del dovere di protezione vigilanza.

2. La Corte d'appello ha rivisitato l'intero materiale probatorio, pervenendo a valutazione parzialmente divergente, di cui occorre dar conto con qualche dettaglio.

Si rammenta che L'Aquila era interessata dall'autunno 2008 da uno sciame sismico consistente in numerose scosse di intensità crescente. Nella tragica notte vi furono due forti scosse, cui ne seguì una di particolare violenza alle 3,32 del 6 aprile 2009, con magnitudo 6,3.

A nulla rilevano le rassicurazioni provenienti da fonti della Commissione grandi rischi dato che, indipendentemente dal contenuto di tali rassicurazioni, nessuno poteva escludere il verificarsi di altre scosse nel contesto dello sciame sismico in corso, anche più intense di quelle già registrate, seppure non eccezionali. Non può invocare il principio di affidamento chi già versa in colpa, come nel caso di entrambi gli imputati, dovendosi ribadire che nel caso in esame la scossa fatale non fu eccezionale, rientrava nell'ambito del probabile come tutti gli eventi di medio-alta intensità in zone sismiche significative come l'area aquilana. Si evoca a tale riguardo la giurisprudenza di legittimità: i terremoti rientrano nelle ordinarie vicende del suolo e non possono essere considerati fatti eccezionali ed imprevedibili specie se non di rilevantissima intensità ed incidenti in zone sismiche.

D'altra parte, la scossa non cagionò il crollo di tutti gli edifici neppure nel centro storico; e quelli interessati da interventi di consolidamento subirono danni ma non conseguenze disastrose.

Viceversa il Convitto versava in pessime condizioni più volte contestate, accertate e portate a conoscenza di entrambi gli imputati; in una situazione di immediata percezione dei rischi testimoniata dai giovani ospiti. Rispetto a tale situazione la condotta degli imputati è caratterizzata da superficialità ed imprudenza. Si versava in una situazione di tale degrado che il semplice susseguirsi delle scosse,indipendentemente dalla loro crescente intensità poteva esser causa di un crollo come quello verificatosi.

La pronunzia è diffusa nel valutare le fonti di conoscenza in ordine in ordine alla vulnerabilità dell'edificio. La responsabile del Servizio prevenzione e protezione, ing. Is., tra il 2000 ed il 2009 aveva più volte segnalato al dirigente scolastico ed ai competenti uffici della Provincia le gravi carenze in tema di sicurezza. La donna redasse nel 2004 una relazione tecnica circa la inadeguatezza statico-strutturale di parti dell'edificio, coerente con uno studio di vulnerabilità sismica prodotto nel medesimo anno dalla Abruzzo engineering. Appena un mese prima della scossa fatale l'ingegnere aveva intrattenuto corrispondenze con ambedue gli imputati definendo la struttura fatiscente; sicchè entrambi erano chiaramente consapevoli della situazione di rischio. I documenti di tale professionista superano tutti i rilievi critici delle difese.

Alcuni sopralluoghi furono fatti insieme ai tecnici della Provincia poco prima del terremoto, quando erano evidenti rilevanti crepe strutturali riferite anche da numerosi testi. Uno in particolare ebbe luogo il 31 marzo ad opera dei tecnici della Provincia: fu superficiale, a vista. Venne redatta nota sul sopralluogo a firma dell'imputato M..

Lo stato dell'edificio emerge da una scheda redatta da Abruzzo Engiineering nell'ambito del progetto "vulnerabilità sismica degli edifici scolastici" commissionato dalla Regione a seguito del terremoto di S. Giuliano. Ne emerge un quadro allarmante con valutazioni in ordine al grado di vulnerabilità che andavano dalla elevata alla media (quella che caratterizzava la zona nella quale si sono verificati i decessi) tale da imporre immediati interventi di restauro e consolidamento. Il documento prevedeva il rischio esteso fino al 50% delle mura e delle strutture portanti.

I crolli si sono verificati proprio nelle zone segnalate come più vulnerabili da Abruzzo Engineering. Si aggiunge che tale documento era stato avviato alla Provincia perchè fosse attentamente esaminato; ma la Provincia, con atto a firma del M., fornì dati incompleti a dimostrazione di un approccio assolutamente superficiale volto a sporadiche iniziative di manutenzione ordinaria.

Si da atto che la difesa ha evocato una scheda redatta nel 2005 che evidenzia lo stato di manutenzione sostanzialmente buono. Si ribatte che la generica indicazione di cui alla richiamata scheda non è tale da smentire il contenuto di tutti i documenti di segno contrario;

anche perchè redatta con ottica afferente alla manutenzione ed ai servizi.

Viceversa per la Corte di merito rileva la dichiarazione del geometra D.F., capo dell'aria edilizia scolastica, secondo cui il Convitto era: in uno stato inconsistente, di osteoporosi, di deterioramento naturale. Egli si rifiutò di interessarsene proprio per tale condizione evidentemente ritenuta fonte di immanente pericolo. Una testimonianza che la Corte d'appello definisce devastante. Viene anche ritenuta quasi esilarante l'affermazione difensiva secondo cui l'immobile in questione era uno degli edifici antichi meglio conservati all'Aquila.

D'altra parte i consulenti sono stati concordi nel ritenere che i crolli letali sono stati determinati dalla scossa non eccezionalmente violenta che ha inciso su una situazione di marcata vetustà, di precarietà, anche a seguito di interventi di consolidamento del tutto inadeguati e limitati all'ordinaria amministrazione. Diversi testi, anche della difesa, hanno riferito di crolli di parti di soffitto ed intonaco. Si era in una situazione di immediata percepibilità del degrado e della pericolosità della struttura.

Tutto ciò era ben noto agli imputati.

3. Poste tali premesse fattuali la pronunzia analizza la posizione del M.. Costui era titolare di posizione di garanzia derivante da ruolo di dirigente del settore edilizia scolastica pubblica istruzione della Provincia, e basata sulla legge e sul contratto. Rileva la convenzione stipulata nel 2002 tra Provincia e Convitto. Essa prevedeva oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria ed anche i necessari interventi di ristrutturazione richiamati all'art. 4 della convenzione. Si parla nel documento anche di verifiche tecnico-strutturali e messa a norma; e ciò rende evidente lo stesso ambito degli interventi di competenza della Provincia e quindi del M..

Ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2000, art. 3 gli interventi di manutenzione straordinaria sono quelli relativi alle opere e modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici. In conseguenza, nei confronti del ricorrente gravava l'adempimento di tali obblighi. La Corte d'appello non dubita che gli interventi di risanamento, consolidamento strutturale e miglioramento sismico mai realizzati, progettati ma neppure presi in considerazione erano di competenza della Provincia.

L'inesistenza di fondi sufficienti ed i vincoli di carattere culturale ed artistico, secondo la Corte, non potevano limitare l'obbligo di sicurezza per il quale il M. avrebbe dovuto attivarsi coinvolgendo le varie amministrazioni competenti, ed eventualmente attivando conferenza di servizi per affrontare in modo complessivo il problema. E comunque, se a causa di qualche ostacolo non fosse stato possibile alcun intervento significativo ed efficace, ne doveva conseguire la segnalazione all'ente di appartenenza, al vertice del Convitto ed agli organi amministrativi competenti per l'adozione dei conseguenti provvedimenti di inibizione all'uso della struttura e dichiarazione di inagibilità. Ai problemi finanziari si sarebbe inoltre potuto ovviare con la procedura di somma urgenza che consente di far fronte a spese eccezionali e non previste nel bilancio.

Dinanzi ad una evidente, segnalata, visibile inidoneità dell'immobile a garantire i livelli minimi di sicurezza sismica ed in presenza di una sequenza sismica persistente il M. è rimasto inerte; non ha posto in essere alcun intervento.

Era stato redatto un progetto preliminare di riqualificazione dell'importo di 550.000 Euro che però, a detta del consulente, non conteneva previsione di opere di consolidamento e risanamento. Il M. non ha posto in essere alcun intervento, non ha operato alcuna segnalazione agli organi politici circa l'idoneità dell'immobile rispetto all'uso assegnatogli, non ha neppure segnalato la necessità del risanamento statico cui la Provincia era obbligata;

e neppure ha segnalato la necessità di inibire l'uso dell'immobile per ragioni di sicurezza; soluzione estrema da praticare qualora l'insufficienza delle risorse avesse reso impossibile interventi di messa in sicurezza dello stabile. Indicazioni in tal senso derivano dalla circolare ministeriale n. 617 del 2009 che prevede in condizioni di inadeguatezza di un immobile rispetto ad azioni ambientali incontrollabili, come un terremoto, la possibilità che il proprietario o i gestori dell'opera dispongano il cambiamento di destinazione d'uso o la messa fuori servizio dell'immobile.

Nella situazione data, l'inibizione all'uso o la limitazione della sua fruizione, date le particolari condizioni di degrado e di evidente rischio sismico erano provvedimenti non esagerati o avulsi dalla realtà, come dimostra il fatto che il sindaco, dopo la forte scossa del 30 marzo, aveva disposto la totale chiusura degli edifici scolastici del centro storico che in quelle condizioni non davano più garanzie di resistenza alle sollecitazioni sismiche.

L'obbligo in questione coinvolgeva sia il M. che il B. proprio alla luce della indicata circolare, che equipara proprietario e gestore. L'obbligo a carico del M. si rinviene anche nel D.Lgs. n. 81, art. 18, comma 3. Ma in ogni caso l'obbligo derivante dalla convenzione è insuperabile.

Ulteriore prova della responsabilità del M. viene dedotta dall'ispezione compiuta, a seguito della forte scossa del 30 marzo, dai tecnici della Provincia. Si trattò di un giro all'interno dell'immobile: una valutazione a vista e non approfondita. Peraltro, la nota che accompagna il resoconto del sopralluogo, a firma dell'imputato, rileva comunque lesioni che segnalavano la necessità di interventi sulle strutture portanti. Tutto ciò in relazione ad un edificio già ritenuto e definito fatiscente cui si aggiungevano le ulteriori lesioni del 30 marzo, in un contesto caratterizzato dal protrarsi di scosse di crescente intensità. Tutto ciò avrebbe dovuto indurre iniziative di estrema prudenza e cautela.

La pronunzia analizza il tema dell' incapienza finanziaria. Si afferma che essa non è dimostrata. In ogni caso, avrebbe dovuto essere adottato un programma di messa in sicurezza tale da assicurare condizioni minime di affidabilità della struttura. Si sarebbe dovuta considerare la consistenza dei lavori necessari e all'esito avrebbe dovuto essere dichiarata eventualmente l'inagibilità.

In definitiva si dovevano prevedere i lavori necessari e se essi non potevano essere eseguiti ci si doveva attivare per inibire l'uso della struttura. Nell'uno e nell'altro caso l'evento non si sarebbe verificato. Vero è che il M. non aveva il potere di disporre lo sgombero ma egli aveva possibilità di attivarsi per la dichiarazione di inagibilità; profilo di colpa che rientra appieno nell'addebito mosso, che fa riferimento anche alla mancata adozione di tutti i provvedimenti volti alla salvaguardia dell'incolumità dei terzi. Si ribadisce a tale riguardo che il ricorrente rivestiva il ruolo di vertice tecnico-amministrativo del settore edilizia e pubblica istruzione con autonomi poteri decisionali, sicchè la Provincia attraverso il suo agire tecnico doveva adempiere agli obblighi derivanti dalla legge nonchè da norme secondarie e dalla convenzione.

La pronunzia analizza le deduzioni difensive afferenti all'assenza di competenze in ingegneria civile ed alla presenza di funzionari cui era affidata la gestione dei singoli immobili. Si obietta che l'assenza di conoscenze edilizie rappresenterebbe semmai un ulteriore profilo di colpa. Il M. aveva perfetta conoscenza della situazione ed aveva obbligo di vigilanza e di intervento. L'ente di cui egli era espressione aveva l'obbligo, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3 di monitorare l'edificio al fine di verificare l'efficienza ed agibilità.

La sentenza si dichiara consapevole dell'esigenza di una motivazione rafforzata attesa la pronunzia assolutoria del Tribunale, non limitata ad una lettura alternativa del medesimo compendio probatorio ma tale da dimostrare vizi logici o inadeguatezze probatorie che minano la sostenibilità della prima sentenza. La Corte ritiene di aver adempiuto a tale onere avendo dimostrato la palese inadeguatezza ed erroneità del ragionamento del Tribunale.

4. Per B. la pronunzia ritiene che è evidente il profilo di colpa ritenuto fondato dal Tribunale e relativo al fatto che il prevenuto non adottò alcuna misura di salvaguardia nella notte fatale. Si considera che la scossa micidiale fu preceduta da due forti scosse di intensità crescente. Esse facevano con evidenza pensare che la situazione stesse precipitando. Anche le rassicurazioni che potevano essere state date da parte di organi tecnici cui fa riferimento l'appellante erano del tutto inconferenti.

La situazione di grave rischio era di tutta evidenza anche in considerazione della volontà manifestata dai ragazzi: unica soluzione ragionevole era lo sgombero immediato. Del resto già qualche giorno prima un istitutore si era assunta la responsabilità di analoga iniziativa. Analoga iniziativa assunsero alcuni giovani componenti di una squadra di reprobi ospiti del Convitto.

La sentenza si diffonde nel descrivere i tratti di allarmante precarietà della situazione dell'edificio, documentata dalle crepe e dalla caduta di calcinacci. Quantomeno in quel momento, a tutto voler concedere, la situazione di pericolo era eclatante ed il Convitto andava sgomberato. La struttura andava d'altra parte infine definitivamente chiusa. Considerato che i giovanissimi ospiti erano terrorizzati a nulla poteva rilevare il fatto che non vi fosse autorizzazione dei genitori.

Diverse sono le fonti della posizione di garanzia di costui. Il Convitto, pur con le sue peculiarità, è una scuola media di secondo grado e tale qualificazione rende evidente l'obbligo di garantire la sicurezza dei ragazzi ospiti. Tale obbligo si aggiunge e sovrappone a quello che deriva dal rapporto contrattuale anche da contatto. Il contratto di ospitalità obbligava il vertice dell'istituto a garantire che essa fosse prestata in una condizione di sicurezza. La qualificazione poi come istituto scolastico con presenza anche di minorenni comporta un'ulteriore obbligo di protezione che deriva proprio dalla funzione di educativa che pone il dirigente scolastico in posizione di vertice; come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità. In caso di danno la responsabilità è di natura contrattuale atteso che l'accoglimento della domanda di iscrizione determina la instaurazione di un vincolo negoziale.

Peraltro la Corte d'appello ritiene anche l'esistenza di un profilo di responsabilità afferente ai mancati interventi di consolidamento della struttura secondo gli stessi profili di addebiti mossi all'altro imputato. L'obbligo della Provincia non esclude quella del dirigente scolastico di interessarsi della solidità della struttura e di assumere iniziative di controllo autonome da segnalare anche all'ente deputato alla manutenzione e di assumere comunque le decisioni conseguenti per la tutela degli ospiti. Al riguardo viene richiamato il decreto ministeriale 30 settembre 1977 recante norme cautelari volte garantire la sicurezza statica di tutte le costruzioni scolastiche.

Oltre a ciò, trova applicazione il D.Lgs. n. 81, art. 2 in relazione agli obblighi che gravano sul dirigente scolastico quale datore di lavoro. Analogo obbligo derivava dalla qualifica di organo di vertice dell'ente proprietario e quindi custode dell'immobile, secondo quanto previsto dalla normativa civilistica. La proprietà dell'immobile si desume non solo dal dato catastale ma da altri univoci elementi come il decreto ministeriale riguardante la tutela vincolistica che ha indicato le particelle interessate come di proprietà del Convitto.

Al di là di tutto ciò rileva il fatto che l'ente, proprio nella qualità di proprietario dell'immobile, stipulò la convenzione con la Provincia.

La pronunzia ha ritenuto anche di dover pronunziare condanna del Convitto nazionale e del ministero dell'istruzione al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili; domanda erroneamente disattesa senza motivazione dal Tribunale. Non vi è dubbio che l'ente Convitto ed il ministero dell'istruzione debbano rispondere delle condotte colpose poste in essere dal suo dirigente nell'esercizio delle sue funzioni anche a norma di quanto disposto dall'art. 2049 cod. civ..

5. La prima sentenza viene pure censurata per ciò che attiene al rigetto della domanda risarcitoria avanzata dalla parte civile Cittadinanzattiva "allo stato" e senza alcuna motivazione.

6. Tali valutazioni si sottraggono alle indicate censure.

La prima, basilare questione proposta dal giudizio attiene all'esistenza di un rischio prevedibile e governabile. Al riguardo le censure difensive tentano in larga misura di sollecitare impropriamente questa Corte alla riconsiderazione del fatto. E' invece indubbio che la ponderazione del giudice di merito è basata su plurime e significative acquisizioni probatorie.

Le sentenze sono nitide e concordi: la fragilità delle strutture è emersa oggettivamente, a posteriori, a seguito dei rilevantissimi crolli; ed è stata altrettanto oggettivamente constatata dagli esperti.

Resta da domandarsi, ai fini della configurazione della colpa, se la fatiscenza del manufatto e la sua inadeguatezza a fronteggiare rilevanti eventi sismici fosse nota o conoscibile. In breve, si tratta di valutare la prevedibilità ex ante del rischio sismico poi drammaticamente concretizzatosi. Orbene, a tale riguardo le sentenze di merito propongono argomenti fattuali plurimi e coerenti: i rapporti delle persone che negli anni si erano occupate della sicurezza e della manutenzione dell'edificio; le narrazioni degli studenti; soprattutto la relazione di Abruzzo Engeneering che aveva individuato rischi specifici che si sono concretizzati proprio nei punti dell'edificio che erano stati indicati come fragili. Tale esatta corrispondenza tra il primo ed il dopo, bene evidenziata in sentenza, correttamente viene ritenuta prova inoppugnabile, concludente in ordine alla prevedibilità dell'evento costituito dal danno sismico.

D'altra parte, il rischio era non solo ictu oculi visibile, ma anche desumibile dai documenti tecnici richiamati dalle pronunzie di merito nei termini sopra esposti. Dunque, ambedue gli imputati, nelle qualificate loro vesti professionali, erano al corrente della situazione. Del resto, di sicurezza dell'edificio si era ripetutamente discusso, nella inquietante temperie del riferito sciame sismico, tra il vertice dell'istituzione scolastica ed il personale tecnico dell'Amministrazione provinciale. Tutto, dunque, era sul tappeto delle conoscenze e delle competenze dei soggetti responsabili.

7. Sia pure in termini alquanto allusivi le impugnazioni fanno riferimento a rassicurazioni pervenute da figure di rilievo della protezione civile. La risposta del giudice di merito, nella sostanza, è che, nella situazione data, l'allarme era tanto eloquente che nessuna seria rassicurazione poteva essere data da alcuno, mancando la possibilità di compiere affidabili previsioni atte ad escludere eventi del genere di quello concretizzatosi.

Tale valutazione non mostra profili di criticità. La sentenza impugnata, con gli argomenti che si sono sopra esposti, dimostra che l'evento sismico concretatosi non costituisce, per la sua entità, per il sito e per il momento storico nel quale si è verificato, un accadimento eccezionale, straordinario, ingovernabile. Dunque, un evento di tale natura non sfuggiva all'obbligo di governo del rischio da parte dei soggetti competenti.

Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che i terremoti, anche di rilevante intensità, sono eventi rientranti tra le normali vicende del suolo, e non possono essere considerati come accadimenti eccezionali ed imprevedibili quando si verifichino in zone già qualificate ad elevato rischio sismico, o comunque formalmente classificate come sismiche (particolarmente Sez. 4, del 27/01/2010 n. 24732, Rv. 248115). In breve, si tratta di eventi con i quali i professionisti competenti sono chiamati a confrontarsi (Sez. 4, 16/11/1989 n. 17492, Rv. 182859). Tale responsabile approccio, improntato a speciale prudenza e accurata attenzione agli aspetti tecnico-scientifici ed alle informazioni e direttive che ne giungono, va qui ribadito. Va solo aggiunto che qualunque valutazione in tale delicata materia va naturalmente rapportata anche a ciascuna peculiare situazione concreta; e di ciò pure il giudice è chiamato a tener conto, come sempre è del resto richiesto nella delicata valutazione sulla colpa. Si vuoi dire che la adeguatezza del comportamento dell'agente chiamato a gestire il rischio sismico andrà in ogni caso rapportato alle caratteristiche dell'edificio, alla sua utilizzazione, alle informazioni scientifiche, specifiche e di contesto, disponibili in ordine a possibilità o probabilità di verificazione di eventi dirompenti. Insomma, riassuntivamente, si tratterà di valutare tutte le contingenze proprie del caso concreto.

Orbene, nel caso in esame, i giudici di merito si sono correttamente diffusi nel sottolineare che si era in area a discreto rischio sismico, che uno sciame sismico si protraeva da tempo con incalzante intensità e che, soprattutto, nella tragica notte già due violentissime scosse avevano suscitato speciale allarme e fondate preoccupazioni nei giovani allievi ospiti del fatiscente Convitto: si tratta di aspetto di speciale rilievo nel caso in esame, sul quale si tornerà in prosieguo.

In tale quadro, le deduzioni difensive che evocano le non meglio chiarite rassicurazioni fornite da alcuno non colgono nel segno. In primo luogo l'indicazione è generica. Non si chiarisce quale veste istituzionale rivestisse il soggetto da cui provenivano le indicate rassicurazioni; e, soprattutto, non si colloca tale dato nella complessiva informazione scientifica ed operativa afferente alla gestione della difficile situazione nella quale si trovava la comunità locale. Si vuoi dire che nessuna menzione viene fatta ad indicazioni ufficiali o, comunque, a direttive univoche e non controverse dalle quali potesse trarsi l'affidabile previsione che un evento importante non si sarebbe verificato. E d'altra parte non manca di logicità e ragionevole persuasività la considerazione della Corte di merito che in quella temperie ed ancor più nella memorabile notte, di fronte alle sensate paure ed alle richieste dei giovani, occorresse assumere iniziative atte ad escludere il rischio, allontanando tutte le persone dalla fonte di pericolo.

8. Poste tali premesse di carattere generale sul rischio e sul suo governo, si tratta di valutare se gli imputati rivestissero ruoli istituzionali dai quali derivava l'obbligo giuridico di evitare l'evento ex art. 40 cpv cod. pen.; se, in breve, costoro rivestissero posizione di garanzia.

La risposta è agevole per ciò che riguarda il B.. La Corte d'appello pone correttamente in luce le diverse fonti dalle quali derivava l'obbligo di cui si discute. La prima questione risolta è quella afferente alla proprietà dell'edificio. Contrariamente a quanto dedotto, la pronunzia non si limita a considerare i dati catastali, ma analizza la disciplina legale (e l'interpretazione fornitane dal Consiglio di Stato) che per le istituzioni educative come i Collegi nazionali esclude il trasferimento della proprietà alla Provincia e prevede invece che la gestione degli immobili sia disciplinata da apposita convenzione tra la stessa Provincia e l'Ente proprietario. La lettura del testo normativo, di cui si è sopra dato conto, è senz'altro corretta; e del resto l'esistenza di una convenzione tra i due enti dimostra nel modo più evidente la duplicazione di ruoli conseguente all'indicato assetto normativo.

Altrettanto puntuale ed ineccepibile è l'indicazione delle fonti giuridiche, invero molteplici, che individuano e modellano l'obbligo giuridico di agire per evitare l'evento: la veste datoriale, quella di responsabile dell'ente proprietario dell'edificio, la qualità di dirigente dell'istituzione, nonchè la convenzione di ospitalità.

Sul tema e specialmente sulla natura contrattuale della responsabilità si è già espressa condivisibilmente questa Corte (Sez. 4, 22/05/2007, Conzatti, Rv. 236852, Sez. 4, 23/02/2010 n. 17574, Ciabatti, Rv. 247522), richiamando anche giurisprudenza delle Sezioni unite civili. La responsabilità dell'istituto scolastico e dell'insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che, quanto all'istituto scolastico, l'accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell'allievo alla scuola, determina l'instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell'istituto l'obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l'allievo procuri danno a se stesso; e che, quanto al precettore dipendente dell'istituto scolastico, tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico nell'ambito del quale l'insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l'allievo si procuri da solo un danno alla persona. Si tratta di principi con ancor maggiore evidenza applicabili alla figura del dirigente scolastico.

E', conclusivamente, di particolare interesse appuntare qui, per le deduzioni che se ne trarranno nel prosieguo, l'intensità dell'obbligo di protezione correttamente enfatizzato dalla Corte d'appello, connesso alla funzione educativa e soprattutto all'affidamento dei minori in una struttura residenziale per tutte le loro esigenze esistenziali.

9. A conclusioni non diverse deve giungersi per ciò che riguarda il M.. Costui, come evidenziato in sentenza, era il dirigente tecnico dell'edilizia scolastica della Provincia. In tale veste era chiamato a gestire la già evocata convenzione che regolava i rapporti tra i due Enti in ordine alla manutenzione ordinaria, straordinaria ed alla ristrutturazione del manufatto. Correttamente si argomenta dalla convenzione l'esistenza di un ruolo tecnico di ampia portata, che riguardava anche gli aspetti tecnico-strutturali.

L'ampiezza dell'interazione tra i due organismi è documentata dal tenore della ridetta convenzione, prodotta dalla difesa per documentare il ravvisato travisamento della prova. Vi si parla di attuazione della L. n. 23 del 1996; di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonchè di necessari interventi di ristrutturazione nel rispetto delle norme sulla sicurezza. La Provincia si obbliga, in breve, all'attuazione delle legge; ed il Convitto si impegna a consentire a ciò che occorre per l'esecuzione degli interventi di restauro e messa a norma.

Emerge, così, che l'impegno della Provincia si mostra in due guise, in relazione alle quali si articola l'imputazione e la valutazione del giudice di merito: garantire la manutenzione e l'adeguamento dell'edificio e fornire supporto tecnico-scientifico per tutto ciò che attiene alla gestione del manufatto nella prospettiva di garantirne la sicurezza.

10. In relazione a tale duplicazione di ruoli della Provincia e dei suoi organi si articola la discussione dei giudici di merito per ciò che attiene alla posizione del M.. Su questo decisivo punto, come si è visto, le due sentenze divergono radicalmente.

Orbene, per ciò che attiene alla garanzia in ordine alla sicurezza strutturale dell'edificio la sentenza del Tribunale propone notazioni realistiche, razionali, coerenti: l'onerosissimo impegno afferente alla ristrutturazione dell'ampio ed antico edificio al fine di adeguarlo dal punto di vista della sicurezza anche dal punto di vista sismico costituiva responsabilità dell'organo politico e non di quello tecnico. Del resto, come documentato dalla difesa, la struttura tecnica aveva abbozzato una proposta concretizzatasi in un progetto di massima dell'ottobre 2004, che tuttavia non era mai stato attuato da nessun punto di vista, verosimilmente per l'indisponibilità degli ingenti fondi occorrenti.

La Corte d'appello ha rivisitato criticamente tale valutazione con argomenti che, tuttavia, non solo non confutano radicalmente il giudizio del Tribunale, ma che denunziano la loro intrinseca debolezza per ciò che riguarda il ricorrente.

Si vuoi dire che correttamente il Tribunale ha ritenuto che l'opera di ristrutturazione dell'edificio trascendesse radicalmente il ruolo tecnico del M. e coinvolgesse, anche sul piano della garanzia, il vertice politico della Provincia. Senza dubbio l'imputato non aveva in tale ambito alcun potere di spesa; ed il compito di collaborazione tecnica era stato svolto anche con la elaborazione dell'indicato progetto di massima del 2004. Del resto, la fatiscenza della sede del Convitto era ben nota a tutti i soggetti competenti.

D'altra parte la nuova pressante contingenza, costituita dallo sciame sismico e dall'allarme che ne derivava, non consentiva di programmare ed attuare lavori imponenti che richiedevano molto tempo e molto danaro. Correttamente, dunque, il Tribunale ritiene che il cuore del processo sia altrove.

Di ciò finisce col rendersi conto la Corte d'appello che, dopo aver dipanato riflessioni alquanto fumose su ciò che avrebbe potuto esser fatto per promuovere la ristrutturazione, che comunque non coinvolgevano il ruolo del M., ha esattamente posto in campo l'alternativo obbligo di intervenire per garantire la sicurezza delle persone sia regolando diversamente l'utilizzazione del bene, sia eventualmente favorendo l'evacuazione, l'inibizione all'uso dell'edificio. Tale diversione denunzia da sè, definitivamente, la fragilità dell'argomento accusatorio afferente al ruolo di garanzia del M. in ordine all'esecuzione dei lavori sull'edificio.

Invero, l'unico obbligo poteva afferire all'informazione tecnico- scientifica a proposito dello stato del manufatto, ed era stato adempiuto, quantomeno, con il già evocato progetto del 2004.

Conclusivamente, riguardando le cose dal punto di vista delle deduzioni difensive, la critica da parte della Corte d'appello alla prima sentenza per ciò che attiene al tema di cui si discute non è riuscita.

11. Resta da esaminare l'altra dimensione della posizione di garanzia del ricorrente, afferente alla collaborazione tecnico-scientifica ed anche operativa, funzionale all'attuazione dell'obbligo di protezione nei confronti delle persone che occupavano l'edificio.

Va intanto preliminarmente chiarito che l'alternatività degli obblighi propugnata con forza dalla Corte d'appello è giuridicamente corretta: sia che si voglia vedere le cose sotto il profilo della posizione di garanzia, sia che le si voglia analizzare sul versante della colpa, è certamente corretto affermare che quando un obiettivo di sicurezza possa essere soddisfatto con l'adozione di diverse strategie, la scelta dell'una o dell'altra è indifferente sotto il profilo della responsabilità penale. Inoltre l'obbligo può ben essere adempiuto anche con l'adozione di cautele diverse da quelle "specifiche", quando si adottino interventi evoluti dal punto di vista tecnico e scientifico ed efficienti almeno quanto quelli prescritti dalla regolamentazione ufficiale della materia.

Resta allora da chiedersi se il M., nella indicata veste dirigenziale, rivestisse un ruolo di garanzia complementare rispetto a quello gravante in primo luogo sul Dirigente dell'istituzione educativa, afferente alla protezione degli occupanti e precipuamente dei giovani ospiti.

Correttamente i giudici di merito hanno risposto positivamente a tale interrogativo, confutando l'opposto giudizio del Tribunale.

Occorre partire dalla considerazione già in precedenza proposta in ordine all'integrazione tra Provincia e Convitto. L'istituzione scolastica non disponeva nè di risorse nè di competenze professionali per assicurare la sicurezza dell'edificio. Essa si avvaleva della collaborazione del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione, nonchè dei tecnici della Provincia. Il Responsabile collaborava con riguardo all'obbligazione datoriale, mentre la struttura della Provincia era l'interlocutore sulle problematiche più squisitamente strutturali afferenti, anche alla sicurezza sismica.

Per ciò che riguarda la struttura tecnica della Provincia, si tratta di rispondere a due cruciali interrogativi, nei quali risiede la risoluzione del maggiore problema afferente alla responsabilità.

L'uno attiene all'esistenza dell'obbligo di collaborazione nella valutazione e gestione del rischio sismico. L'altro riguarda la configurazione di tale obbligo quale posizione di garanzia rilevante ex art. 40 cpv cod. pen..

Correttamente i giudici di merito hanno risposto positivamente ad ambedue le questioni, con argomenti in parte espliciti ed in parte impliciti; che vanno meglio chiariti, alla stregua del dovere d'integrazione imposto dalla legge processuale a questa Corte di cassazione nell'ambito dell'interpretazione della normazione.

Quanto al primo tema, la richiamata L. n. 23 del 1996, ed il tenore della Convenzione rendono chiaro che la manutenzione e la ristrutturazione degli edifici scolastici afferiscono non solo ad istanze di funzionalità ma anche di sicurezza; e che la Provincia, con i suoi organismi tecnici, è chiamata in ogni direzione a fornire la collaborazione occorrente.

Del resto, in fatto, la Provincia ha assunto senza incertezze tale ruolo. Le sentenze di merito, infatti, danno conto delle ripetute ispezioni dei tecnici dell'ente territoriale, anche pochi giorni prima del sinistro; nonchè di intese scritte, verbali, telefoniche tra i due enti, proprio per la gestione del rischio sismico nella particolare temperie di cui ci si occupa. Ciò varrebbe da solo a fondare l'obbligo giuridico di fornire qualificata cooperazione tecnico-scientifica ai fini delle valutazioni e determinazioni degli organi competenti; ed a configurare quindi la posizione di garanzia, con le precisazioni che si diranno nel prosieguo.

In proposito questa Corte si è ripetutamente e condivisibilmente espressa. Le Sezioni unite (S.U. 24 aprile 2014, ThyssenKrupp, RV 261107), hanno recentemente chiarito che la posizione di garanzia può essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante. Ed hanno anzi aggiunto che è spesso di particolare importanza porre attenzione alla concreta organizzazione della gestione del rischio. Tale indicazione si desume testualmente dall'art. 299 del T.U. sulla sicurezza del lavoro; ma costituisce importante principio dell'ordinamento penale.

La questione è stata del resto esaminata ampiamente anche in passato, con notazioni consonanti (Sez. 4, 22/05/2007, Conzatti, Rv. 236852). Si è rammentato che si è affermata anche in giurisprudenza una visione eclettica della fondazione del ruolo di garanzia che ha in parte superato la storica concezione formale. Si è sviluppata una elaborazione sostanzialistico-funzionale che non fa più leva tanto su profili formali quanto piuttosto sulla funzione dell'imputazione per omissione, connessa all'esigenza di natura solidaristica di tutela di beni giuridici attraverso l'individuazione di un soggetto gravato del ruolo di garante della loro protezione. Tale individuazione del garante avviene, più che sulla base di criteri formali, alla stregua della posizione di fatto assunta, del ruolo svolto.

L'elaborazione in questione, pur dovendosi ecletticamente integrare con l'approccio formale, presenta il pregio ampiamente riconosciuto di aderire allo specifico punto di vista dell'ordinamento penale, selezionando in senso restrittivo il dovere di agire nell'ambito della sterminata congerie di obblighi presenti nell'ordinamento. Essa consente inoltre di fronteggiare situazioni nelle quali, pur in presenza di un vizio della fonte contrattuale dell'obbligo, vi è stata la effettiva assunzione del ruolo di garante, la cosiddetta presa in carico del bene protetto; nonchè quelle nelle quali si riscontra una situazione di fatto assimilabile, analoga, rispetto a quella prevista dalla fonte legale dell'obbligazione, come ad esempio nel caso della consolidata convivenza in un rapporto di tipo familiare o istituzionale.

Alla luce di tali principi non può dubitarsi dell'esistenza di obbligo di collaborare alla gestione del rischio sismico connesso alla fragilità dell'edificio.

12. Resta infine da chiarire, come si è sopra accennato, se l'esistenza di obbligo di collaborazione informativa e valutativa sui temi della sicurezza sia idonea a fondare l'obbligo giuridico di cui si discute anche nelle situazioni nelle quali, come nel caso in esame, l'agente non sia munito di autonomo potere di gestione operativa del rischio.

Anche al riguardo si è espressa la richiamata pronunzia delle Sezioni unite, in ambito distinto, ma assolutamente affine; afferente alla posizione del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Si è considerato che si tratta di figura dotata di una delicata funzione di supporto informativo, valutativo e programmatico ma priva di autonomia decisionale. Essa tuttavia coopera in un contesto che vede coinvolti diversi soggetti con distinti ruoli e competenze. Si è considerato che non vi è dubbio che tale figura sia destinataria di obbligo giuridico afferente al diligente svolgimento delle indicate funzioni. D'altra parte, tale ruolo è parte inscindibile di una procedura complessa, che sfocia nelle scelte operative sulla sicurezza compiute dal datore di lavoro. Tale cooperazione può dunque ben rilevare ai fini della spiegazione causale dell'evento illecito, come accade ad esempio nel caso in cui si manchi di informare il datore di lavoro di un rischio la cui conoscenza derivi da competenze specialistiche. In tale situazione si è ritenuto razionale attribuire, in presenza di tutti i presupposti di legge ed in particolare di condotta colposa, la responsabilità dell'evento al soggetto di cui si parla.

Con tutta evidenza tali principi possono essere trasposti nel differente ma analogo ambito di cui si discute nel quale, pur essendo le decisioni operative demandate ad altri soggetti, il compito di segnalazione e di informazione assume speciale rilievo ed è parte di contesto cooperativo complesso che vede l'interazione di differenti figure.

Dunque, conclusivamente in proposito, può senz'altro affermarsi che correttamente sia stata individuata l'esistenza di una posizione di garanzia a carico del ricorrente, nei termini che si sono sopra indicati.

Per completezza va aggiunto che le deduzioni della difesa in ordine alla portata di alcune delle fonti individuate dal giudice di merito quali matrici dell'obbligo di garanzia sono prive di fondamento. Si tratta, per la verità, di aspetti marginali e non risolutivi della questione di cui si discute; alla luce degli argomenti sopra esposti.

Tuttavia è opportuno fornire le opportune chiarificazioni.

In primo luogo la circolare del Ministero delle infrastrutture n. 617 del 2009 reca istruzioni per l'applicazione delle "Nuove norme tecniche per le costruzioni" di cui al D.M. 14 gennaio 2008. Si aggiunge, nel preambolo, che detto Decreto "raccoglie in forma unitaria le norme che disciplinano la progettazione, l'esecuzione ed il collaudo delle costruzioni al fine di garantire, per stabiliti livelli sicurezza, la pubblica incolumità. Il testo normativo, recependo le diverse osservazioni e suggerimenti di ordine tecnico pervenute dal mondo produttivo, scientifico e professionale, fornisce una serie di indicazioni inerenti le procedure di calcolo e di verifica delle strutture, nonchè regole di progettazione ed esecuzione delle opere". Segue una copiosissima disciplina tecnica.

Alla luce di tale introduzione e del complessivo tenero della articolata disciplina tecnica non può in alcun modo dubitarsi che si tratti di normazione tecnica afferente a tutte le categorie di edifici.

D'altra parte, la lettura del T.U. n. 81, richiamato art. 18, comma 3 è univoca e non lascia spazio alle tesi difensive. Gli obblighi relativi ad interventi strutturali e di manutenzione per garantire la sicurezza degli edifici assegnati in uso alle pubbliche amministrazioni, comprese le istituzioni scolastiche ed educative, sono a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. Tali disciplina, applicata al caso in esame, significa che gli obblighi afferenti al Convitto afferivano alla Provincia che, come si è visto, ha obbligo manutentivo.

La normativa aggiunge che gli obblighi di cui si parla si intendono assolti da parte dei dirigenti degli uffici cui si riferisce l'istanza di sicurezza attraverso la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente. Ciò implica, nel caso in esame, che il dirigente scolastico è tenuto, con effetto liberatorio, a richiedere all'Amministrazione provinciale gli interventi sicuritari occorrenti. Dunque, neppure tale aspetto della normazione può essere invocato dal ricorrente; fermo restando che, come si è esposto, l'obbligo afferente agli interventi strutturali non gravava personalmente sul M., attesa l'assenza di poteri di spesa adeguati.

13. Constatata l'applicabilità dell'art. 40 cpv cod. pen., occorre intendere se il nesso causale sia stato correttamente individuato dal giudice di merito. La pronunzia impugnata, come si è visto, non dubita che le determinazioni operative dovessero essere assunte da diversi soggetti: il vertice politico della Provincia per ciò che attiene agli interventi strutturali volti alla protezione antisismica; il Rettore o l'autorità di protezione civile per ciò che riguarda l'adozione di iniziative volte alla protezione degli ospiti, eventualmente anche attraverso la chiusura ed evacuazione dell'istituto. In proposito il ricorrente ha articolato, come si è visto, puntuali censure incentrate sulla mancata dimostrazione dell'effetto salvifico di eventuali segnalazioni in ordine alla pericolosità dell'edificio ed alla necessità di mettere in salvo gli ospiti. Si è in particolare insistito sul fatto che la insensibilità del Rettore avrebbe con ogni probabilità reso inutile una incalzante segnalazione e richiesta di evacuazione. E si è lamentato che nella pronunzia manca una valutazione di tale cruciale questione.

La deduzione è assolutamente puntuale ma priva di pregio. La sentenza, infatti, risponde a tale questione con argomenti che, sebbene non strettamente testuali, risultano chiaramente dalla complessiva trama argomentativa. Si è infatti considerato che la situazione di allarme sismico era talmente conclamata che il sindaco di L'Aquila aveva disposto la chiusura di tutte le istituzioni scolastiche del centro storico. Evidentemente tale statuizione era stata assunta sulla base dei poteri di ordinanza quale autorità di protezione civile; ed alla stregua di informazioni di carattere tecnico-scientifico fornite dagli uffici competenti. E con implicita evidenza la Corte di merito ritiene che, in presenza di valutazione dell'organo tecnico competente, che nella specie era l'ufficio tecnico provinciale, non sarebbe mancata una analoga ordinanza di inagibilità che avrebbe salvato gli allievi del convitto. Dunque, il controfattuale è esperito in conformità ai noti principi che regolano la materia e senza errori.

14. Conclusa la disamina dei profili della vicenda afferenti all'imputazione oggettiva dell'evento, resta da esaminare le questioni afferenti all'elemento soggettivo, alla colpa.

Anche sotto tale riguardo la sentenza reca appropriata analisi immune da vizi logici o giuridici.

L'indagine è tranciante per ciò che riguarda il B.. Per costui il piano di sicurezza prevedeva espressamente il potere dovere di disporre l'evacuazione in caso di necessità. D'altra parte, in quella notte fatale si era in presenza di indicazioni drammatiche ed incalzanti che imponevano di corrispondere con immediatezza alle pressanti richieste dei giovani allievi e particolarmente di quelli minori. L'imputato manifestò, argomenta ragionevolmente la Corte d'appello, una conclamata insensibilità, una grave negligenza ed imprudenza, imponendo ai ragazzi di sopportare un rischio intollerabilmente elevato che si concretizzò nel breve volgere di poche ore. Di qui il ben fondato addebito colposo.

Le deduzioni difensive svolte in proposito dal ricorrente sono palesemente prive di pregio. La situazione era da tempo pericolosa; e gli era stata segnalata dal suo RSPP. Essa, in ogni caso, aveva assunto una tale drammatica evidenza in quella notte che veniva travolto qualunque parere fosse stato espresso in epoca anteriore a proposito della verificazione di un sisma di rilevante portata. E le prospettazioni circa le circolari ministeriali in ordine all'assenso dei genitori all'allontanamento degli allievi sono chiaramente inconferenti. Infatti, si tratta di direttive che fanno riferimento a situazioni ordinarie, fisiologiche, nelle quali l'allontanamento stesso sia determinato da banali contingenze esistenziali; e non si riferiscono per nulla a quelle in atto, impellenti e drammatiche, in relazione alle quali era anche formalmente previsto un ordine di evacuazione affidato al Rettore.

15. Pure immune da censure è la più complessa valutazione che riguarda il M.. Le deduzioni di costui, volte a dimostrare l'assenza di una reale pericolosità dell'edificio, come si è visto, sono state puntualmente confutate dalla Corte d'appello. Al riguardo sotto l'insegna del vizio di travisamento della prova l'imputato tenta di sollecitare questa Corte di legittimità alla riconsiderazione del merito, proponendo isolati frammenti del materiale probatorio che, in ogni caso, non sono in grado di inficiare il nucleo valutativo della motivazione afferente, come si è visto, precipuamente alla consonanza tra lo stato dell'edificio accertato dopo l'evento e le valutazioni compiute in precedenza da Abruzzo Engeneering. Dunque correttamente si è ritenuto che la fatiscenza e pericolosità dell'edificio fosse nota o comunque agevolmente conoscibile, visto che i documenti in questione erano stati portati a conoscenza dell'amministrazione provinciale e dell'imputato senza che venissero svolti i necessari approfondimenti in ordine alla vulnerabilità sismica, non solo con riguardo agli interventi strutturali, ma anche alle esigenze di tutela delle persone, specialmente nel peculiare contesto del più volte riferito sciame sismico. Altrettanto argomentato, logico e basato su plurime e definite acquisizioni probatorie è l'apprezzamento in ordine alla colpevole inerzia mostrata nel tempo e particolarmente nella fase di critica sismicità di cui ci si occupa.

Per completezza va aggiunto che le produzioni che dovrebbero mostrare l'inconoscibilità del rischio connesso alla vulnerabilità dell'edificio e l'assenza di obblighi di garanzia del ricorrente costituiscono meri frammenti della copiosa base probatoria, che non possono essere letti in modo avulso dal restante compendio e che, soprattutto, non solo non mettono in crisi, non corrompono logicamente il giudizio, ma per alcuni versi lo confermano.

Infatti, la deposizione del geometra D.F. conferma l'"osteoporosi", il deterioramento naturale dell'edificio. Il documento di Collabora Engeenering del giugno 2005 sembra proprio riguardare le opere di adeguamento elettrico, idrico ecc; e non reca valutazioni in ordine alla criticità sismica. La convenzione già molte volte evocata parla di interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria e ristrutturazione; di restauro emessa a norma: a conferma della pregnanza del ruolo di collaborazione della Provincia non solo in ordine ai lavori da eseguire, ma anche per ciò che attiene alla già evocata collaborazione informativa sul piano tecnico-scientifico. Ancora, il progetto di massima del 2004 prevede interventi indispensabili per il miglioramento delle caratteristiche antisismiche, il consolidamento delle mura, delle volte e della copertura. Ciò conferma che il rischio sismico e la fragilità dell'edificio erano ben noti già in tale epoca agli uffici tecnici della Provincia. Le altre deposizioni appaio irrilevanti, essendo precipuamente dedicate ad informazioni sulla indubbia complessità ed onerosità delle opere strutturali volte al risanamento dell'edificio. Il piano di emergenza prevede l'evacuazione anche per terremoto ed affida al rettore la competenza a disporla. Ciò, oltre a corroborare il ragionamento della Corte d'appello sulla responsabilità del B., conferma che plurimi strumenti potevano essere esperiti per tutelare gli studenti e che, come pure correttamente ritenuto dal giudice di merito, l'organo tecnico provinciale aveva utili strumenti sollecitatori che sono risultati colposamente inadempiuti.

22. Dunque, i ricorsi degli imputati vanno rigettati. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

Gli imputati vanno altresì condannati in solido a rimborsare alla parte civile Cittadinanzattiva Onlus le spese sostenute per questo giudizio, che appare congruo liquidare in Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge, a favore dello Stato ai sensi del D.P.R. n. 112 del 2002, art. 110.

B. va pure condannato a rimborsare alle parti civili che si sono costituite solo nei suoi confronti le spese dalle stesse sostenute per questo giudizio, che appare congruo liquidare come segue:

C.L., C.O. e I.A. Euro 3.500,00 oltre accessori come per legge;

Ca.Lu. Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

23. E' invece fondato il ricorso della parte civile Codacons. Questa Corte ha costantemente affermato, condivisibilmente, che l'omessa notifica del decreto di citazione, avanti il giudice di appello, alla parte civile regolarmente costituita, nel corso del giudizio di primo grado, determina la nullità di cui all'art. 178, comma 1, lett. c) - concernente la violazione delle norme che prevedono l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza di una parte privata - sottoposta al regime di cui all'art. 180 cod. proc. pen. la quale, ove tempestivamente dedotta, comporta l'annullamento della sentenza, impugnata ai soli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Il giudice del rinvio vorrà pure provvedere al regolamento delle spese tra le parti anche per questo giudizio di legittimità.


P.Q.M.

Rigetta i ricorsi degli imputati B.L. e M.V. e li condanna al pagamento delle spese processuali.

Condanna altresì i predetti in solido a rimborsare alla parte civile Cittadinanzattiva Onlus le spese sostenute per questo giudizio che liquida in Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge, a favore dello Stato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 110.

Condanna B. a rimborsare alle parti civili le spese dalle stesse sostenute per questo giudizio, che liquida come segue:

C.L., C.O. e I.A. complessivi Euro 3.500,00 oltre accessori come per legge;

Ca.Lu. Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

Annulla la stessa sentenza limitatamente alle statuizioni civili relative alla Onlus Codacons e rinvia sul punto al giudice civile competente per valore in grado di appello cui rimette pure il regolamento delle spese tra le parti anche per questo giudizio.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2016

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  • Cassazione Penale, Sez. 3, 15 luglio 2016, n. 30143 - Accertamento dei VdF in una scuola: mancata verifica degli estintori e impianto idrico non funzionante. Condanna per il dirigente del Comune

Presidente Rosi – Relatore Andreazza
 

 

Fatto



1. B.R. ha proposto ricorso avverso la sentenza dei Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Aversa, con cui lo stesso è stato condannato alla pena di euro 2.000 di ammenda per il reato di cui agli artt. 46, comma 2, e 55, comma 5, lett. c) del d. lgs.. n. 81 del 2008 per non avere, quale dirigente responsabile dell'area tecnica e manutentiva del comune di Succivo, adottato misure idonee per prevenire gli incendi all'interno della scuola elementare De Amicis atteso che gli estintori non erano stati sottoposti alla verifica periodica e che l'impianto idrico non era funzionante. Rileva che a norma dei d. lgs.. n. 195 del 2003 nonché dei d.m. n. 292 del 1996 il datore di lavoro per gli uffici e le istituzioni scolastiche dipendenti dal ministero della pubblica istruzione è individuato nei capi delle istituzioni scolastiche ed educative statali sì che erroneamente il responsabile sarebbe stato individuato nella specie nell'imputato quale dirigente dell'area tecnica del Comune. Inoltre l'imputato ha formalmente cessato le funzioni di responsabile dell'ufficio tecnico in data 30/06/2009 essendo l'accertamento avvenuto successivamente a tale data, ovvero il 13/10/2009. Lamenta poi che la sentenza non ha analizzato adeguatamente il contributo delle fonti dichiarative avendo acriticamente recepito il contenuto delle deposizioni dei testimoni Pu. e Pa.; né la sentenza ha spiegato le ragioni per cui si è ritenuta irrilevante la documentazione citata dal teste Pa.. Infine nessuna motivazione puntuale sarebbe stata data in relazione all'elemento psicologico dei reato.
2.Sotto un secondo profilo lamenta l'incompetenza funzionale del giudice, essendo stato istituito solo a far data dal 13/09/2013 con i decreti legislativi nn. 155 e 156 dei 2012 il Tribunale di Napoli Nord, mentre per i fatti anteriori doveva ritenersi competente il tribunale di Santa Maria Capua Vetere e non il neo istituito Tribunale di Napoli Nord.
3. Infine, con un terzo motivo, lamenta la nullità della sentenza per violazione di legge in relazione alla quantificazione della pena giacché il giudice avrebbe dovuto dar conto degli elementi ostativi alla concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione nonostante l'ottimo comportamento processuale dell'imputato e la presenza di un fatto di modestissima entità, nonché in relazione all'I'irrogazione di una sanzione senza indicazione in maniera analitica degli elementi di cui all'art. 133 c.p.

 

Diritto



4. L'assunto, proposto con il primo motivo, secondo cui la responsabilità in ordine alla sicurezza negli istituti scolastici sarebbe da attribuire ai capi delle istituzioni scolastiche ed educative statali, è manifestamente infondato. L'art. 18 comma 3 del d. lgs.. n. 81 del 2008 prevede che gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi dello stesso decreto legislativo, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dal presente decreto legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico. Sicché, correttamente, tenuto conto anche del contenuto del d.m. del 26/08/1992, la sentenza impugnata ha spiegato che nell'ambito della gestione della sicurezza negli istituti scolastici bisogna distinguere le misure di tipo "strutturale ed impiantistico", di competenza dell'ente locale proprietario dell'immobile, e titolare del resto dei potere di spesa necessario per adottare le dovute misure, e gli adempimenti di tipo unicamente "gestionale" ed organizzativo spettanti invece all'amministrazione scolastica con la conseguenza che, versandosi in fattispecie relativa alla riscontrata assenza di funzionalità dell'impianto idrico antincendio e alla mancata sottoposizione degli estintori alla verifica periodica, altrettanto correttamente il Tribunale ha concluso per la responsabilità dell'imputato, quale dirigente responsabile dell'area tecnica e manutentiva del Comune di Succivo. La sentenza ha anche logicamente escluso che il fatto che il decreto del Sindaco n. 3 del 2009 prevedesse la cessazione di detta veste possa avere avuto rilievo scriminante giacché, da un lato, l'accertamento svolto dai vigili del fuoco, seppure avvenuto nell'ottobre del 2009, aveva appurato una carenza da tempo sussistente in ragione del mancato assolvimento dei compiti di legge già a far data dall'anno 2005, e, dall'altro, il dirigente scolastico Pa., esaminato quale teste, aveva affermato di avere continuato ad avere come proprio referente in ordine al profilo della sicurezza nella scuola l'imputato sino al gennaio dei 2010. Quanto alle altre doglianze lamentate con il ricorso in ordine alla pretesa ricezione acritica delle dichiarazioni dei testi Pu. e Pa. e in ordine al profilo dell'elemento soggettivo, ne va constatata l'assoluta genericità.
5. Il secondo motivo è parimenti inammissibile : anche a prescindere dalla inammissibile proposizione della eccezione di incompetenza territoriale per la prima volta dinanzi a questa Corte, viene comunque lamentata la illegittima trattazione dei processo ad opera del Tribunale di Napoli Nord quando invece, nella specie, è pacifico che il processo si è svolto dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capuavetere, dallo stesso ricorrente indicato come ufficio competente.
6. Infine il terzo motivo è manifestamente infondato: premesso che le attenuanti generiche sono state riconosciute, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, nella loro massima estensione, va poi ricordato, quanto alla determinazione della pena, che ove, come nella specie, per la violazione ascritta sia prevista alternativamente la pena dell'arresto e quella dell'ammenda, il giudice non è tenuto ad esporre diffusamente le ragioni in base alle quali egli applichi la misura massima della sanzione pecuniaria, perché, avendo l'imputato beneficiato di un trattamento obiettivamente più favorevole rispetto all'altra più rigorosa indicazione della norma, è sufficiente che dalla motivazione sul punto risulti la considerazione conclusiva e determinante in base a cui è stata adottata la decisione, tale motivazione ben potendo esaurirsi nell'accenno alla equità quale criterio di sintesi adeguato e sufficiente ( Sez. 3, n. del 18/06/20015, Di santo, Rv. Sez. 1, n. 3632 del 17/01/1995, Capelluio, Rv. 201495; vedi anche Sez.1, n. 40176 del 01/10/2009, Russo, Rv. 245335).
7. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente, da un lato, preclusione della possibilità di rilevare la prescrizione intervenuta successivamente alla sentenza impugnata (cfr. Sez. U., n. 32 dei 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266), e, dall'altro, condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di denaro di euro 1.500 in favore della Cassa delle ammende.

 

P.Q.M.



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500 in favore della cassa delle ammende.

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  • Cassazione Penale, Sez. 4, 13 maggio 2016, n. 20051 - Caduta dell'anta sinistra di un cancello della scuola: responsabilità del dirigente scolastico e del RSPP

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 15/01/2016

 

Fatto


1. Con sentenza del 30 ottobre 2013 il Tribunale di Termini Imerese aveva dichiarato la prof.ssa G.S., dirigente scolastico dell'Istituto scolastico statale "Casteldaccia" in Casteldaccia (PA), comprensivo del plesso scolastico scuola elementare "Luigi Capuana", colpevole dei reati alla stessa ascritti al capo A) (artt. 63, 64 e 68 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81), per avere cioè omesso di provvedere, in qualità di datore di lavoro, affinché i luoghi di lavoro fossero sicuri e venissero sottoposti a regolare manutenzione tecnica, in particolare omettendo di provvedere affinché il cancello a due ante dell'istituto "Luigi Capuana", cancello in evidente stato di degrado, potesse essere utilizzato in piena sicurezza, ed al capo C) (art. 590 cod. pen.), cioè lesioni colpose lievi in danno dello studente V.G.O., di otto anni, e di A.B., genitore di un altro studente della scuola, lesioni procurate in conseguenza della improvvisa caduta dell'anta sinistra del cancello di cui si è detto; fatti commessi entrambi in Casteldaccia il 19 dicembre 2008.
Esclusa l'aggravante di cui al 3° comma dell'art. 590 cod. pen., previa concessione delle attenuanti generiche, l'imputata era stata, dunque, condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di duemila euro di ammenda per la contravvenzione di cui al capo A) e di quattrocento euro di multa per il delitto di cui al capo C), nonché al risarcimento dei danni cagionati alle due pp.oo. costituite parti civili, V.G.O. ed A.B., con assegnazione di provvisionale a ciascuna di esse.
Il Tribunale aveva, invece, assolto l'ing. A.F. dai reati di cui al capo B) (art. 33 d.lgs. n. 81 del 2008), per avere cioè, in qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell'Istituto comprensivo statale "Casteldaccia", di cui era dirigente scolastico la prof.ssa G.S., che lo aveva incaricato come consulente, nella redazione del documento di valutazione dei rischi, omesso di individuare il rischio connesso allo stato di ammaloramento del cancello a due ante di pertinenza del plesso scolastico "Luigi Capuana" e di prevedere, tra gli interventi da effettuare, la manutenzione del predetto cancello e, in particolare, la sostituzione dei cardini, visibilmente corrosi, e di cui al capo C), cioè il delitto di lesioni colpose addebitato anche a G.S., del quale si è detto in precedenza. L'assoluzione è stata pronunciata con la formula "perché il fatto non sussiste".
L'antefatto del processo era costituito dall'improvviso distacco, la mattina del 19 dicembre 2008, di un'anta del cancello che costituiva il varco dell'istituto scolastico, con caduta dell'anta, rallentata ma non fermata dall'intervento di A.B., che era venuto a riprendere il proprio figlio all'uscita di scuola. 
La pesante anta colpiva, dunque, sia il genitore A.B. sia lo studente V.G.O., provocando ad entrambi le lesioni di cui al capo C). Le indagini avviate dal Pubblico Ministero conducevano alla formulazione delle imputazioni che si sono riassunte e nell'avvio del processo.
2. Avverso la decisione di primo grado hanno presentato appello sia l'imputata G.S. sia, ai soli effetti civili, la parte civile A.B. nei confronti di A.F..
3. Con sentenza del 16 febbraio 2015 la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di G.S. in ordine alla contravvenzione di cui al capo A), perché estinta per prescrizione, conseguentemente eliminando la pena dell'ammenda che era stata inflitta; ha dichiarato A.F. responsabile, ai soli effetti civili, del fatto illecito di lesioni colpose di cui al capo C) in danno di A.B. e, per l'effetto, ha condannato A.F. a risarcire, in solido con l'imputata, il danno patito da A.B., rimettendo le parti per la liquidazione di tale danno davanti al giudice civile; ha provveduto sulle spese sostenute dalle parti civili, che ha posto a carico degli imputati soccombenti; ha confermato la decisione adottata dal Tribunale il 30 ottobre 2013 nel resto.
4. La sentenza della Corte di appello è stata impugnata da entrambi gli imputati.
4.1. La prof.ssa G.S., con ricorso presentato personalmente il 14 aprile 2015, ha dedotto due motivi.
4.1.1. In primo luogo, ha censurato la ritenuta manifesta illogicità della motivazione, che non terrebbe nel debito conto il rilievo che, poiché nessuno stato di ammaloramento visibile presentava il cancello e poiché la dirigente aveva incaricato quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione un esperto, l'ing. A.F., il quale, peraltro, ispezionato il cancello, nulla di anomalo aveva riscontrato, era da escludersi qualsiasi imprudenza, imperizia o negligenza da parte della donna.
4.1.2. In secondo luogo, ha contestato la mancata assunzione di una prova decisiva, essendo stata chiesta ai sensi dell'art. 495, comma 2, cod. proc. pen., ma non ammessa, la deposizione della prof.ssa M.A.S..
4.2. A.F., tramite il proprio difensore, ha tempestivamente presentato ricorso, basato su di una articolate pluralità di motivi, ampiamente argomentati ed ulteriormente arricchiti nella memoria intitolata "motivi nuovi", fatta pervenire nella Cancelleria della Corte a mezzo fax il 19 dicembre 2015 e a mezzo posta il 28 dicembre 2015. Li si riassume schematicamente.
4.2.1. Come primo - e principale - motivo di ricorso si sostiene che la Corte di appello, nel ribaltare, sia pure ai soli effetti civili (essendo stata presentata impugnazione ex art. 573 cod. proc. pen.), la sentenza di primo grado avrebbe violato il principio giurisprudenziale secondo il quale, per capovolgere una decisione di assoluzione, è assolutamente necessaria una motivazione "rafforzata", particolarmente minuziosa e specifica che non si limiti a contrapporre alla prima lettura una ulteriore, diversa, lettura "alternativa" dei medesimi elementi ma che si sovrapponga, per così dire, "a tutto campo" alla precedente, individuando, con obbligo motivazionale peculiare, i punti specifici e le motivazioni per cui la precedente decisione è stimata erronea e non condivisibile (cfr. ricorso, pp. 2-14; memoria aggiuntiva, passim). La esposizione di tale motivo, ampiamente illustrata, è così strutturata: richiamo della giurisprudenza di legittimità sul cosiddetto obbligo rafforzato di motivazione (pp. 2-4 del ricorso); richiamo di interi passaggi motivazionali delle sentenze di primo e di secondo grado e confronto, anche testuale, tra le stesse, anche alla luce del contenuto di fonti di prova acquisite a dibattimento (pp. 5-12 del ricorso); richiamo di deduzioni difensive contenute in apposita memoria depositata il 16 febbraio 2015 in Corte di appello e, in ossequio al principio di auto-sufficienza del ricorso, nuovamente prodotta, deduzioni che - si assume - sarebbero state totalmente ignorate o in larga parte pretermesse dal giudice cui erano dirette (pp. 13-14 del ricorso).
4.2.2. Come ulteriore motivo di ricorso si lamenta violazione della legge penale e del principio di legalità per avere la Corte territoriale, ad avviso del ricorrente, condannato A.F. per cooperazione colposa in un reato che sarebbe esclusivamente attribuibile alla dirigente scolastica, della quale l'imputato era un mero consulente, così finendo per attribuire, in buona sostanza, all'ingegnere una "posizione di garanzia" che in verità per legge non gli sarebbe spettata (pp. 14-15 del ricorso).
4.2.3. Si censura, infine, la asserita violazione delle disposizioni sulle spese nei giudizi di impugnazione (art. 592 cod. proc. pen.): si sostiene, al riguardo, la illegittimità della condanna alle spese dell'imputato, che, non avendo riportato una previa condanna penale, non poteva, in quanto condannato ai soli effetti civili su impugnazione di parte privata, essere gravato delle spese; si lamenta anche la ritenuta illegittima duplicazione della condanna alle spese, essendo stato A.F. condannato, secondo quanto si legge nel ricorso, da un lato, a rifondere, in solido con G.S., le spese sostenute dalla p.c. A.B. in entrambi i gradi di giudizio, pari ad euro 7.050,00 oltre
accessori, e, dall'altro, a rifondere, sempre in solido con la coimputata, anche le spese di costituzione e difesa sostenute da A.B. nel secondo grado, liquidate in euro 1.800,00, oltre accessori; con indebita duplicazione di rimborsi a carico di A.F. e con conseguente, indebita, locupletazione della p.c. (pp. 16-17 del ricorso).

Diritto


1.Il ricorso di G.S. è tardivo e, dunque, inammissibile ai sensi dell'art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Infatti la sentenza di appello, emessa all'udienza del 16 febbraio 2015 (cui era presente l'imputata: v. intestazione di sentenza), senza indicazione in dispositivo di un termine diverso da quello ordinario di quindici giorni e con motivazione concretamente depositata il giorno 2 marzo 2015, poteva essere impugnata (ai sensi del combinato disposto degli artt. 544, comma 2, e 585, comma 1, lett. b, e comma 2, lett. c, cod. proc. pen.) entro il trentesimo giorno a partire dal 3 marzo 2015 (16 febbraio 2015 + 15 gg. = 3 marzo 2015) e cioè entro il 2 aprile 2015, mentre è stata depositata in Cancelleria (v. timbro in calce all'atto di appello) il 14 aprile 2015.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna al pagamento delle spese processali e, non sussistendo ragioni ostative (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 186 del 13 giugno 2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma, che si stima congrua, di mille euro.
2. Diverso il discorso da farsi in relazione al ricorso di A.F., per le ragioni di seguito specificate.
2.1. Deve premettersi che costituisce pacifico principio giurisprudenziale quello secondo il quale la motivazione della sentenza di riforma in grado di appello, tanto più ove si addivenga ad una condanna in secondo grado, deve essere particolarmente attenta.
Il principio viene espresso talora in termini meno assoluti, talaltra in termini più forti.
Si è specificato, infatti, che il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. Un., n. 3748 del 12/07/2015, Mannino, Rv. 231679) e che non viola il principio dell' "oltre ogni ragionevole dubbio" la decisione del giudice di appello che riformi totalmente la sentenza assolutoria di primo grado valutando diversamente il medesimo compendio probatorio, purché delinei con adeguata motivazione le linee portanti del proprio alternativo percorso argomentativo, che metta in evidenza le ragioni di incompletezza o di incoerenza del provvedimento riformato (Sez. 2, n. 17812 del 09/04/2015, Maricosu, Rv. 263763).
Si è anche detto che «il ribaltamento dello statuto decisorio in sede di gravame [...] deve fondarsi non su una semplice divergenza di apprezzamento tra giudici "orizzontalmente" proiettati verso un - reciprocamente autonomo - sindacato dello stesso materiale di prova, ma sul ben diverso versante di un supposto "errore" di giudizio che l'organo della impugnazione reputi di "addebitare" al giudice di primo grado, alla luce delle circostanze dedotte dagli appellanti ed in funzione dello specifico tema di giudizio che è stato devoluto. Ad una plausibile ricostruzione del primo giudice, non può, infatti, sostituirsi sic et simpliciter, la altrettanto plausibile - ma diversa - ricostruzione operata in sede di impugnazione (ove così fosse, infatti, il giudizio di appello sarebbe null'altro che un mero doppione del giudizio di primo grado, per di più "a schema libero"), giacché, per ribaltare gli esiti del giudizio di primo grado, deve comunque essere posta in luce la censurabilità del primo giudizio; e ciò, sulla base di uno sviluppo argomentativo che ne metta in luce le carenze o le aporie che giustificano un diverso approdo sui singoli "contenuti" che hanno formato oggetto dei motivi di appello. La sentenza di appello, dunque, ove pervenga ad una riforma (specie se radicale [...]/ di quella di primo grado, deve necessariamente misurarsi con le ragioni addotte a sostegno del decisum dal primo giudice, e porre criticamente in evidenza gli elementi, in ipotesi, sottovalutati o trascurati, e quelli che, al contrario, risultino inconferenti o, peggio, in contraddizione, con la ricostruzione di fatti e della responsabilità poste a base della sentenza appellata» (così Sez. 2, n. 50643 de 18/11/2014, Fu e altri, Rv. 261327).
In termini ancora più netti, si è affermato che il principio per il quale, nel caso di riforma da parte del giudice di appello di una decisione assolutoria emessa dal primo giudice, il secondo giudice ha l'obbligo di dimostrare specificamente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati, trova applicazione persino in caso di radicale rovesciamento di una valutazione essenziale nell'economia della motivazione (Sez. 5, n. 35762 del 05/05/2008, Aleksi e altri, Rv. 241169), con affermazione che appare particolarmente apprezzabile, specie in considerazione del maggior rigore motivazionale che progressivamente si è ritenuto esistere nel caso di riforma in peius, anche in conseguenza della sollecitazione derivante dalla nota decisione Dan vs. Moldavia del 5 luglio 2011 della Corte europea dei diritti dell'uomo (i cui effetti sull'ordinamento interno, anche sotto il profilo della eventuale necessità di rinnovazione dell'istruttoria in appello, sono stati, da ultimo, evidenziati, da Sez. 2, n. 34843 del 01/07/2015, Sagone, Rv. 264542; Sez. 3, n. 38786 del 23/06/2015, U. e altro, Rv. 264793; Sez. 5, n. 25475 del 24/02/2015, Prestanicola ed altri, Rv. 263903).
2.2. Ebbene, dovendosi fare applicazione nel caso di specie del principio richiamato, va preliminarmente osservato che, in effetti, la Corte territoriale si è basata sul medesimo materiale istruttorio valutato al Tribunale, per inferirne conseguenze opposte. In particolare, posto che è incontroverso che l'ing. A.F., dal punto di vista della condotta materiale posta in essere, ha avuto nel settembre 2008 l'incarico consulenziale di responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell'istituto comprensivo statale "Castaldaccia", la cui dirigente era la prof.ssa G.S., e che l'ing. A.F. ha svolto dei sopralluoghi e degli accertamenti, compendiati nel documento di valutazione dei rischi, con allegati, tra i quali le schede valutative, depositato presso la scuola il 15 ottobre 2008, documento nel quale descrive una certa situazione di fatto ed indica, con determinate espressioni, alcune situazioni di rischio, è soltanto sulla valutazione del rilievo, in termini di liceità (pp. 15-18 della sentenza del Tribunale) ovvero di colpa penalmente significativa (pp. 11-13 della sentenza di secondo grado) del comportamento dell'imputato che, a ben vedere, divergono i due testi motivazionali.
2.3. Così stando le cose e passando a tirare le fila del ragionamento sinora condotto, deve rilevarsi che la Corte di appello, in realtà, ha valorizzato solo ed esclusivamente l'elemento documentale costituito dalla relazione scritta redatta dall'imputato, sicché - pacificamente - non è necessaria la rinnovazione dell'istruttoria (cfr. Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261566; Sez. 6, n. 36179 del 15/04/2014, Dragotta, Rv. 260234; Sez. 2, n. 13233 del 25/02/2014, Trupiano, Rv. 258780; Sez. 2, n 29452 del 17/05/2013, Marchi e altri, Rv. 256467).
Ciò posto, ha evidenziato la Corte di appello (alle pp. 9-12 della sentenza) che l'imputato, nel segnalare nel suo scritto del 15 ottobre 2008 (documento di valutazione dei rischi, acronimo: D.V.R.) vaghi problemi alla "recinzione esterna dell'edificio", evidentemente comprensiva di muri, cancelli, ringhiere e quant'altro, recinzione esterna descritta come connotata da "diffuso ammaloramento", peraltro visibile ad occhio nudo, con particolare riferimento proprio al cardine inferiore sinistro (quello che aveva ceduto), non poteva certo specificamente riferirsi al cancello in questione, anche perché l'imputato, volendo riferirsi ad un altro cancello dell'immobile, sito in un altro punto, lo aveva in altra parte del documento specificamente individuato; e, inoltre, che la verifica sulla stabilità del cancello in questione era stata superficialmente svolta dall'ing. A.F. soltanto mediante l'impiego, in un'occasione, di un cacciavite, a mo' di "sonda", su di un ferro del cancello, con una tecnica, cioè, all'evidenza, troppo grossolanamente approssimativa per potere avere una qualche validità tecnica ed una qualche affidabilità dal punto di vista predittivo.
Osserva il Collegio che il ragionamento svolto dalla Corte territoriale al riguardo appare congruo, lineare, immune da censure di tipo logico e non scalfito dalle censure del ricorrente.
Quanto all'argomento difensivo, svolto nel ricorso (alle pp. 7 e 9, con riproposizione peraltro di un argomento già speso alla p. 6 della memoria depositata nella fase dell'appello), secondo cui l'ingegnere, che intendeva riferirsi al cancello, si sarebbe dovuto necessariamente adattare agli spazi precostituiti della modulistica ministeriale adoperata come schema per la relazione, è agevole osservare che, data l'importanza del ruolo assegnato dalla dirigente scolastica all'ing. A.F., appunto quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una scuola elementare, l'incaricato non poteva certo, burocraticamente, assolvere all'incombenza limitandosi a spingere con un cacciavite su di un ferro di un vecchio cancello e a compilare un modellino ministeriale definendo, imprecisamente, uno dei due cancelli come recinzione esterna genericamente malmessa (v. foglio n. 344 del fascicolo), senza preoccuparsi più seriamente della sicurezza dei bambini, oltre che dei numerosi genitori e lavoratori della scuola che ogni giorno varcavano quella soglia (pp. 9 ed 11 della sentenza di appello), il rispetto per l'incolumità dei quali avrebbe dovuto indurre l'imputato, quantomeno, ad adattare gli spazi di un formulario ministeriale per inserirvi parole di chiarezza a proposito del rischio che derivava da un cardine di un cancello in cattive condizioni.
3. Resta da esaminare l'ulteriore argomentazione difensiva (di cui si è dato atto al par. n. 4.2.2. del "ritenuto in fatto") incentrata sull'asserita esclusiva responsabilità della dirigente scolastica: assume infatti la difesa essere stata violata la legge penale, con particolare riferimento al principio di legalità, per avere la Corte territoriale condannato l'ing. A.F. per cooperazione colposa in un reato che sarebbe esclusivamente attribuibile alla dirigente scolastica, della quale l'imputato era un mero consulente, così finendo per attribuire, in buona sostanza, all'ingegnere una "posizione di garanzia" che per legge non gli sarebbe spettata.
L'assunto è impreciso, inconcludente ed incondivisibile. Trascura, infatti, di considerare adeguatamente l'importanza del ruolo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in quanto il datore di lavoro, normalmente a digiuno (come peraltro nel caso di specie) di conoscenze tecniche, è proprio concretamente avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che ottempera all'obbligo giuridico di analizzare e di individuare, secondo l'esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno del luogo di lavoro (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261109). Con la conseguenza che «in tema di infortuni sul lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri» (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Epenhahan e altri, Rv. 261107).
Ebbene, la sentenza di appello delinea in modo chiaro la pozione di garanzia ed il ruolo, tutt'altro che defilato e secondario, e, anzi, di centrale importanza, dell'ing. A.F. sul quale, proprio in quanto dotato di specifiche competenza tecniche che non rientravano nel profilo professionale della preside, l'istituzione scolastica aveva il diritto di fare pieno affidamento (nel caso di specie risultato malriposto) nella individuazione di possibili fonti di pericolo per la popolazione scolastica.
4. Infondata anche il motivo di ricorso incentrato sulla distribuzione delle spese tra le parti private in quanto: le conseguenze della soccombenza processuale sono, in linea di massima (salvi solo gli adattamenti necessariamente derivanti dalla natura di parte pubblica del Pubblico Ministero), comuni ad entrambi i rami dell'ordinamento; la solidarietà passiva è uno strumento per rafforzare la posizione del danneggiato; la segnalata aporia si risolve, per il resto, in un'imprecisione del dispositivo di secondo grado comunque agevolmente superabile, essendo la somma di 1.800,00 euro evidentemente inclusa, come una parte del tutto, nel più ampio importo di euro 7.050,00, oltre accessori, che va refusa complessivamente a A.B. Antonino per le spese necessarie per far valere il proprio diritto (senza, insomma, che i 1.800,00 euro si debbano aggiungere ai 7.050,00).
5. Consegue dalle considerazioni svolte il rigetto del ricorso di A.F. e la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali ed alla refusione delle spese sostenute dalle parti civili A.B. e G.M.O., liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso di G.S. e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di 1.000,00 euro alla cassa delle ammende.
Rigetta il ricorso di A.F. e lo condanna al pagamento delle spese processuali per questo giudizio di legittimità in favore delle parti civili, che liquida in 2.500,00 euro oltre accessori come per legge per ciascuna delle due parti A.B. e G.M.O. .
Così deciso il 15/01/2016.
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